Angelo Bioletto ed i quattro moschettieri (sì, certo, col feroce saladino)

Un ironico compendio degli anni Trenta dall’etere alla carta

di Giorgio Perlini

 

 

No, non parleremo delle celebri cento figurine Perugina – Buitoni derivate dal programma radiofonico, perché ne hanno già parlato in molti (1) (ed ogni tanto l’argomento torna alla ribalta), dunque il fenomeno è stato ampiamente raccontato, da parte degli storici con la curiosità verso ingenui entusiasmi di massa che sconfinavano nell’isteria in un’epoca in cui andavano avvicinandosi grandi drammi, e da parte dei pubblicitari con l’invidia verso una forma di reclame dalle dinamiche davvero inaspettate e soprattutto irripetibili.

Proveremo invece a prendere in esame due libri collegati alle suddette figurine, libri che, sebbene anni fa fossero chimere collezionistiche ed oggi siano disponibili a poche decine di euro, non hanno mai trovato una giusta attenzione critica. La motivazione di questa mancanza credo si identifichi nel loro essere tanto calati nelle circostanze sociali dell’epoca e tanto specifici in una satira di costume domestico ma velocemente transeunte, da risultare poco comprensibili al di fuori del periodo in cui vennero concepiti. Solo chi visse il loro tempo (e non ne restano molti) potrebbe ancora riderne appieno. I volumi in questione si intitolano I 4 moschettieri (del 1934) e 2 Anni dopo (1937), entrambi concepiti come premi per le raccolte complete delle suddette figurine con relativo album, scritti dall’affiatata coppia Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, non ancora trentenni, e disegnati da Angelo Bioletto. Da una dichiarazione rilasciata dall’artista anni dopo sappiamo che fu proprio lui a suggerire ai due autori l’idea delle figurine, e così egli divenne il creatore grafico dell’intero progetto, che contemplò anche il cofanetto I 4 moschettieri in Russia con tre dischi Durium in cartone.

Ma torniamo ai libri; scritti con brio, partono dalla parodia di opere di Alexandre Dumas, confidando nella frequentazione di tali romanzi da parte di quel pubblico borghese che ascoltava appassionato le trasmissioni dell’EIAR; su questa base vengono poi aggiunte citazioni raccolte dalle massime opere letterarie o poetiche miscelate con citazioni pescate soprattutto dalle canzoni (ma anche dal cinema e dagli spettacoli di varietà) del tempo, da far sì che moschettieri si trovino convolti in avventure spalleggiati da attori comici. Il pastiche risultante, che oggi sarebbe scontato e poco moderno, per l’epoca era nuovo ed intrigante. Dal punto di vista della grafica, il passaggio dalle figurine alle illustrazioni potrebbe sembrare semplice, uno slittare di immagini da un formato minore a qualcosa di più grande, magari con lievi trasformazioni per non perdere in definizione, in fondo sempre di disegno si tratta. Ed invece il lavoro, sebbene basato sui personaggi già codificati dalle figurine ed amatissimi dal pubblico è decisamente mutante. Bioletto, con la sua linea sciolta, si sposta dalle figure singole, perfette per lo spazio-figurina, alla coralità di scene d’azione esibite con gestualità teatrale, quale era stata forse suggerita proprio dalla trasmissione radiofonica. Le illustrazioni si gremiscono di comprimari accalcati, il clima è sempre festoso, pressoché carnevalesco, come spesso lo si riscontrava in quegli anni anche nei cartoni animati americani. Gli ambienti dove i personaggi agiscono non solo vengono elaborati con gusto scenografico ma anche inquadrati da punti di vista complessi. Scorci dall’alto o dal basso, profonde fughe prospettiche laterali, tagli arditi che lascino spesso le figure oltre lo spazio visibile, facendole intuire da veloci inserimenti di braccia e gambe. L’artista si rivela un esperto uomo di spettacolo, uno scenografo le cui intuizioni possono in certi momenti sostituire il lavoro dei due registi-sceneggiatori, dei quali resta giusto il plot. Fondamentale, nelle coloratissime illustrazioni a piena pagina, è la ricerca di atmosfera. Nonostante si tratti di un’opera farsesca compaiono scene notturne in esterno e sotterranei fiocamente illuminati, poi altre scene solari con tripudio di costumi elaborati. Per i disegni più piccoli, tipo vignetta, si sceglie di lavorare in bianco e nero, oppure si aggiunge un solo colore. Questi piccoli inserti vengono posizionati dentro al testo cercando sempre un effetto piacevole che in taluni casi raggiunge la perfezione compositiva (si guardi la spettacolare doppia tavola con i moschettieri disposti a “v” contenuta nel secondo albo). Ma le abilità di Bioletto non si fermano qui. Nizza e Morbelli nel loro elaborare prima l’opera radiofonica e poi i libri cercarono riferimenti continui alla contemporaneità, e Bioletto tradusse l’operazione con l’espediente della caricatura. Non è così scontato che un disegnatore, anche abile, sia un bravo caricaturista. La caricatura è un genere specifico, spesso non frequentato neanche da chi disegna fumetti o cartoni animati. In Bioletto le caricature compaiono a getto continuo e sono sempre azzeccate (2). Su tali volti, immediatamente riconoscibili negli anni Trenta, si fonda gran parte delle illustrazioni dei due libri, e sebbene non sia questa la sede per un elenco completo, è doveroso riconoscere alcuni personaggi. In apertura del primo libro compare il taverniere del “Gatto melanconico” ben riconoscibile come Aldo Fabrizi, la cui associazione con l’attività culinaria è sempre stata forte. Dopo una lunga carrellata di personaggi presi tali e quali dalle figurine giungono gli stessi Dumas, padre e figlio, trasformati da scrittori a personaggi letterari, ma anche accusati di facili profitti derivati da una sorta di industria del romanzo, nella quale finisce prevedibilmente anche Verne. Poi si torna alla contemporaneità con l’avventuroso scienziato Auguste Piccard (nella figurina chiamato “Lo stratosferico”) ed il volo in mongolfiera dei moschettieri e di Arlecchino (che parla veneziano). Attualissima anche Marlene Dietrich nei panni dell’imperatrice Caterina, dominatrice di uomini (i moschettieri ma anche il regista Erich Von Strhoneim). Qualche pagina più avanti i rimandi cinematografici proseguono con “L’amaro te del generale Yen” e si intrecciano con quelli musicali di “Shanghai Lil”, brano di cui viene proposto un testo ovviamente parodiato. Dobbiamo considerare che tale canzone era parte della colonna sonora del film “Viva le donne” (“Footlight parade”), eccoci dunque all’operazione, indubbiamente moderna, di citazione nella citazione, di rimando continuo, esempio ante-litteram di quella che Omar calabrese, cinquanta anni dopo, avrebbe definito “età neo-barocca”. Evidentemente l’effetto di moltiplicazione e frammentazione operato dai mass-media era già in atto embrionale prima dell’arrivo della televisione.

Tra le stelle del cinema compaiono caricature molto efficaci di star oggi quasi dimenticate come Adolphe Menjou (molto simile a Max Linder in verità), Wallace Berry, Douglas Fairbanks e Za La Mort. In una illustrazione a pagina doppia una regale Greta Garbo è circondata da uno stuolo di celebrità tra cui figura anche Topolino. Il verso lo si fa stavolta al noto cortometraggio del 1933 “Mickey’s gala premier” avvalendosi dei medesimi personaggi (Clark Gable, Maurice Chevalier, Stan Laurel ed Oliver Hardy, Bette Davis), riportando però la situazione ad un aspetto più “normale”. Qui infatti non è la Garbo a voler baciare il topo (3), ma è lui ad offrirsi di reggerle lo strascico dell’abito. Prima di mostrare la caricatura di Tarzan-Weismuller viene inserita nel libro una falsa pagina del fantomatico Gazzettino del West, con Buffalo Bill ed Occhio di Pernice (ma si cita anche il “professor” Guglielmo Tell…). Tra i personaggi presenti nelle figurine ed esclusi nel libro c’è Sergio Tofano col Signor Bonaventura: l’omaggio è chiaramente al Tofano attore ma finisce per diventare il tributo di Bioletto ad un celebre collega, creatore d’un personaggio per bambini divenuto immortale e superato in quegli anni dalla fama del Feroce Saladino.

Il volume numero due, che dagli annunci avrebbe dovuto intitolarsi “L’avventurosa vita di Aramis” uscì in seguito alla seconda serie di avventure radiofoniche, a poco più di due anni di distanza dal primo, e dunque il titolo mutò perché così la parodia diveniva perfetta (4). Nel breve lasso di tempo lo stile di Bioletto è evoluto verso un uso più drammatico del chiaroscuro; alcuni disegni sono ombreggiati a matita e l’effetto in stampa è potente. Ma i molti momenti di tensione si stemperano nell’alternanza con le continue caricature. Questa volta compaiono anche Nizza e Morbelli, prima vestiti come accattoni, poi nella pagina di congedo con abiti da gran signori, trasportati in automobile con autista lo stesso Bioletto. Più volte, nel corso della storia, ribadiranno con autoironia la loro volontà goliardica. Questa finalità di puro divertimento finge di nascondere uno studio preparatorio che lascia ben poco all’improvvisazione ed alla cialtronaggine, nonostante i due se ne vantino. E ben poco è improvvisato anche da Bioletto. L’inquadratura cinematografica raso terra di pag.59 sarebbe da manuale per disegnatori di story-board: una scenografia in primo piano con biglietti della lotteria, cicche, bottoni e tubo della grondaia fa da cornice ad una finestra con ragnatele oltre le cui sbarre si vede la cantina del già citato Gatto Melanconico. In fondo Porthos e D’Artagnan spillano vino da una botte. L’immagine evoca una carrellata filmica dalle cartacce ai personaggi, è chiaro che per Bioletto il cinema è ben più di un catalogo da cui estrarre fisionomie. Poche pagine dopo le ispirazioni attingono dalle riviste illustrate di inizio secolo. Si passano in rassegna figure di donne francesizzanti con rimando a “Le rire”, e “La vie parisienne”. Il riferimento sembra essere soprattutto allo stile arricciato e sintetico al contempo di Lucien Metivet. Da certe situazioni frivole si piomba nel mistero con pagine dedicate all’occultismo, inteso come frequentazione salottiera di circoli spiritici. E tanto per continuare gli sberleffi, l’anima chiamata in causa è quella di Alessandro Manzoni, bistrattato con la battuta, pure da lui derivata “Manzoni! Chi era costui?”, “Mi pare di averlo sentito nominare”. Il passaggio di testimone è verso Shakespeare con l’interpretazione di Amleto da parte del grande Ruggero Ruggeri, così da rimanere abilmente in ambito di fantasmi. Ma accanto a situazioni “classiche” troviamo anche molte incursioni in ambiti modernisti. Il critico che redarguisce Shakespeare afferma: “Bisogna compenetrarsi dell’onomatopeismo peripatetico nell’espressione sfinterica della catarsi entomologica…”. Se in primis l’espressione è chiaramente nonsense e vuol prendersi gioco di una certa critica saccente, d’altro canto è anche una satira dell’incomprensibile verbalizzazione futurista. E poco dopo è il Cubismo a cadere sotto le grinfie degli autori. Cezanne, Casorati, Carrà e Sironi vengono presi di mira senza farne i nomi ma mostrandone dipinti riconoscibilissimi. Vi è poi una satira su Gutemberg e l’invenzione della stampa; è necessario notare a questo punto che in più occasioni vengono inseriti nelle pagine dei volumi elementi – reali o appositamente ricreati – di stampe, appunto, pagine di quotidiani, spartiti musicali, biglietti della lotteria, avvisi pubblici. Insomma un altro gioco di metalinguaggio che finisce per diventare un labirinto in cui alcune citazioni non sono più raggiungibili. Se è facile capire il contrappasso tra le copertine della Domenica del Corriere, concepite da Beltrame come drammi tanto spettacolari quanto assurdi, e la spensieratezza del volume in questione, risulta ben più arduo cogliere certe note, forse minori, ma comunque precise. Per esempio, quando ai moschettieri in compagnia di Faust appare Mefistofele, sul lato destro della splendida tavola si vede un rotolo di carta moschicida in funzione; il riferimento, immediato solo per un lettore del tempo, è all’insetticida Superfaust, noto per la fascinosa grafica col diavolo rosso e per l’incisivo slogan “non addormenta, fulmina!”. Il demonio disegnato da Bioletto secondo canoni molto teatrali, calzamaglia che scopre giusto il volto, mantello e lunga piuma, verrà ripreso pochi anni dopo con registro più serio da Gustavino ed Albertarelli nella versione a fumetti dell’opera di Goethe ridotta da Pedrocchi. Dell’illustrazione con la barca di Caronte invece Bioletto si ricorderà, citando sé stesso, in una delle sue incursioni disneyane, quando trasporterà Topolino all’inferno. Sull’imbarcazione, insieme a divi già citati, si riconoscono bene anche Vittorio De Sica, Dina Galli ed i tre autori del libro. L’assurda storia procede con una sarabanda di prese in giro per lo più a scrittori importanti (Carducci, D’Annunzio, Pascoli, De Amicis, Serao) e tocca il culmine con “L’amica di nonna Mary”, poesia in cui l’anno 1937 viene rimembrato nei suoi temi forti (figurine comprese) da una donna del futuro nel 1977. Con buona pace di Guido Gozzano. Andando verso la conclusione del libro un’immagine in cui le caricature degli attori (e ce ne sono anche di non ancora viste come quelle di Gandusio e De Filippo) diventano marionette suggerisce che tutti sono personaggi di una recita infinita sul teatrino buffo del mondo.

La produzione dei libri superò le centomila copie, dunque la diffusione fu ampia. Nonostante ciò non ne restano molte in buono stato a causa del cartone poco robusto delle copertine. Prima della diffusione delle vendite on line tra privati le quotazioni erano più alte, ora la disponibilità dei volumi si è incrementata con calmieramento del prezzo ma lo stato di conservazione è spesso cattivo, con la spiacevole costante dell’assenza del dorso.

Proprio per lo stesso motivo per cui i due libri non sono mai stati più riproposti (5), cioè la difficoltà di comprensione al di là della vicenda, credo che sarebbe molto interessante pensare ad una nuova edizione con apparato critico approfondito, che possa spiegare a tutti questo compendio di usi e costumi delle generazioni che attraversarono gli anni Trenta. Il lavoro dovrebbe coinvolgere non soltanto esperti di illustrazione ma storici e ricercatori, e sono convinto che sarebbe accolto con entusiasmo.

Terminata l’era delle figurine Perugina, Bioletto portò altri contributi importanti al mondo delle cosiddette arti minori. Nel 1942 divenne il character designer del lungometraggio La Rosa di Bagdad (6), diretto da Anton Gino Domeneghini, un capolavoro (7) ancora ignorato dal grande pubblico. Passato alla Mondadori, disegnò tre storie a fumetti, tutte scritte da Guido Martina, tra le quali L’inferno di Topolino (1949), pietra miliare della produzione Disney italiana, in cui riversò tutta quella fantasia che fra ironico e drammatico raggiunse vette giudicate così impressionanti che i lettori lo videro in versione censurata. Dopodiché, forse stanco per i ritmi faticosi e lusingato da compensi più soddisfacenti cedette alle richieste di lavoro come illustratore divulgativo. Il dirottamento ebbe l’effetto di una gabbia. Il suo stile brioso dovette essere abbandonato in virtù di un adeguamento ai canoni di un genere che non ammetteva guizzi, ed anche quando l’artista tornava alle pubblicazioni narrative il risultato era decisamente sottotono. Negli anni Settanta realizzò perfino una serie di figurine dedicata alla bambola Barbie, professionalmente ineccepibili ma inevitabilmente anonime. Fu lui stesso a riconoscere con amarezza questa involuzione e a dichiarare di essersi pentito di certe scelte. L’artista dal segno inconfondibile che aveva fatto impazzire l’Italia degli anni Trenta diventando una star quasi come quelle che bonariamente sbeffeggiava se ne andava così, nascosto dietro lavori di cui nessuno più riconosceva la mano.

 

 

1) In questo stesso sito compare una sezione dedicata a pubblicazioni con un alto grado di rarità intitolata “Cleopatrae extinte e feroci saladini”: il feroce saladino era uno dei personaggi delle figurine del concorso Perugina – Buitoni. Per volere delle ditte quella figurina venne distribuita così poco da farla diventare merce di scambio in una sorta di mercato nero. Il movimento creatosi intorno ne fece il personaggio più celebre dell’album.

2) Tanto Bioletto si rivelò caricaturista efficace nel 1934 che il suo soggiorno in Francia del 1939 era finalizzato alla produzione di una seconda collezione di figurine specifica per il mercato francese. Il disegnatore eseguì così un’altra serie di caricature ma l’opera non vide mai la luce a causa della guerra. Esiste una pubblicazione a cura dello Studio bibliografico Little Nemo, intitolata Il ritorno del feroce saladino, che riporta tutti i 54 disegni, alcuni dei quali ancora allo stato di bozzetto. Trattasi di un piccolo albo del 1994, oramai diventato anch’esso una rarità.

3) Guarda caso, due anni dopo, in un’altra serie celebre di figurine, quella delle edizioni Elah e dedicata ai personaggi Disney, la figurina n.41 mostra proprio il bacio tra la divina ed il topo.

4) Inutile rammentare che “Vent’anni dopo” è il titolo del secondo romanzo dumasiano della trilogia dei moschettieri.

5) In verità esiste un’edizione del 1961 per i tipi Mursia.

6) Già nei due volumi compaiono personificazioni di sceicchi molto simili a quelle del cartone animato, a loro volta declinate dai disegni di Rene Bull per “Le mille ed una notte”.

7) Per approfondimenti in proposito si segnalano il documentario “Una rosa di guerra”, curato da Massimo Becattini ed il catalogo “La rosa di Bagdad – un tesoro ritrovato” della casa Urania riproducente i materiali relativi al film e messi all’asta nel 2018.

 

 

Angelo Bioletto (testo di Nizza e Morbelli), I 4 moschettieri, Perugina – Buitoni, 1934, cartonato, in quarto.

Angelo Bioletto (testo di Nizza e Morbelli), 2 Anni dopo, Perugina – Buitoni, 1937, cartonato, in quarto.

 

 




Commenti

  1. 01. Massimo Armaroli

    Complimenti, un articolo davvero interessante!

  2. 02. Giorgio Perlini

    Grazie a te Massimo!


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