I Brownies di Palmer Cox

Folletti come termiti

cover  di Giorgio Perlini

Sembra strano ma il folklore delle campagne inglesi e scozzesi deve gran parte della sua mondiale popolarità – più che agli storici artisti locali – ad un signore nato in Canada nel 1840. Si chiamava Palmer Cox, esibiva un paio di baffi esagerati come la moda dell’epoca consigliava ed era uno scrittore e disegnatore di libri per bambini. Anticipato da opere importanti come Fairyland (1870) di Richard Doyle, Goblin Market (1862) di Christina Rossetti e dagli acquarelli di Richard Dadd col suo celebre The Fairy Feller’s Master-Stroke (1855) ma piazzandosi prima di altri pezzi forti trascinati dalle opere di Arthur Rackham (e potremmo citare anche Nei regni incantati e Nei paesi delle fate che Leonida Edel illustrò nel 1888) che portarono alla creazione del caso delle fate di Cottingley (1), Cox si inserì in quel filone sul micropopolo che faceva sognare i lettori ottocenteschi. Ebbe però l’intuizione di uno svecchiamento dell’iconografia tardo romantica fatta di compostezze e classicismi e trasformò i folletti in personaggi da fumetto, anzi, da cartone animato. In particolare identificò i Brownies, che secondo classificazione pseudo-scientifica sono una sottospecie dei Goblins, ma dato che il campo era poco battuto si sentì completamente libero di dire la sua. Già nel 1879 aveva provato a dar loro una forma, che divenne definitiva nel 1881, sulle pagine del Wide Awake Magazine. Poi l’idea di un libro divertente, The Brownies – their book, edito nel 1887. Il successo fu immediato ed il libro inaugurò così un serie di altri sedici volumi, fino al 1918, ristampati varie volte (mai tradotti in Italiano) che divennero un best-seller tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Ventesimo secolo. I libri sono in bianco e nero e tra di essi spicca la gemma cromatica Brownie – Year Book, pezzo fuori serie per formato (più grande degli altri ma più sottile) ed altre scelte tipografiche, tra cui, appunto, l’inserimento di tavole a colori. Per la precisione si tratta di cromolitografie in quanto non esistono neri, ed i colori scuri sono ottenuti per sovrapposizione, tanto da risultare lucidi nella resa finale. Sfogliando il libro si intuisce che è dato per scontato che i lettori sappiano tutto dei Brownies in quanto essi non vengono presentati; ciò è indice del fatto che all’epoca di questo volume i precedenti avevano già conquistato il cuore dei bambini. In apertura dei primi volumi si ritrova infatti la seguente didascalia: “BROWNIES, like fairies and goblins, are imaginary little sprites, who are supposed to delight in harmless pranks and helpful deeds. They work and sport while weary households sleep, and never allow themselves to be seen by mortal eyes”. Chiarito ciò iniziano le disavventure di una numerosa combriccola di folletti pasticcioni che si muove come uno sciame di cavallette, causando danni in verità non per volontà propria ma per vocazione alla catastrofe, più pericolosa per se stessa che per gli umani, ai quali, come annunciato, non è dato di vederla. Il pubblico giovane a cui i libri si rivolgevano deve essere stato coinvolto dalla propensione al disastro ed essersi sentito unito in una sorta di fratellanza. Tra l’altro, anche l’aspetto esteriore dei Brownies di Cox è simile a quello di bambini, testa grande, occhi sgranati, gambe magroline. Certo sono tutti vestiti diversamente e come a riprodurre umani in miniatura restano nella memoria il Cinese, con codino e cappellino a cono, il Mongolo vestito di pelliccia, l’Indiano con copricapo piumato, il “garcon” in livrea da Hotel, l’Arabo col turbante con la mezzaluna e le babbucce arricciate, il poliziotto con impermeabile e manganello, il gentleman con cilindro, bastone da passeggio e monocolo (a cui è stato anche attribuito un nome, Cholly Boutonnière),  l’Americano, visualizzato come Zio Sam con l’abito classico, e c’è anche un personaggio vestito in foggia tipica da gnomo, con berretta rossa e barbona immacolata; per stabilire una democrazia d’azione e rivelare un’ideale di uguaglianza non c’è dominanza di nessun personaggio sugli altri, manca volutamente un leader delle malefatte, equamente distribuite tra i membri del gruppo compreso il poliziotto, che a volte cerca di frenare la spericolatezza degli altri e finisce comunque coinvolto. In Brownie – Year Book Cox fa riferimento alle avventure dei suoi personaggi riproponedone una per ogni mese dell’anno – tutte riprodotte a corredo di questo articolo -, prima raccontando a mo’ di filastrocca in rima baciata la circostanza e poi disegnandola a tutta pagina, collegando sempre il mese con un’attività ricreativa consona alla situazione climatico-atmosferica ed alle usanze dell’epoca. Così facendo realizza un libro che altro non è che la celebrazione delle sue creature, e la loro consacrazione, se ce fosse stato bisogno, tra i personaggi celebri della finzione artistico-letteraria (2). Il colore conferisce ai personaggi una vivacità allora inedita e si rivela un elemento chiave: i Brownies pattinano su ghiaccio e finiscono inevitabilmente congelati, fanno un’escursione lungo il fiume e precipitano nelle rapide, vanno a pesca e cadono nel lago, si arrampicano sul palo della cuccagna e restano intrecciati nei festoni, esplorano il bosco e vengono colti da un improvviso acquazzone, cercano riposo sulle amache ma le caricano troppo e le sfondano rovinando a terra. Il tutto con i toni brillanti raggiungibili unicamente con quel procedimento straordinario che fu la cromolitografia. Purtroppo i litografi non si dimostrarono molto abili nel tradurre le immagini di Cox; nei libri in bianco e nero, con le riproduzioni dei semplici disegni al tratto, il chiaroscuro risulta decisamente più bello ed il segno dell’artista è sciolto ed elegante. Qui le ambientazioni e l’atmosfera della scena sono ben rese con effetti acquarello ma i Brownies sono delineati con una mano un po’ingenua che ha filtrato titubante quella del maestro (inoltre alcune pagine sono stampate con evidente fuori centro). Nonostante tale difetto la fragranza del libro resta, con la sua volontà di rinnovare la letteratura per ragazzi puntando sul divertimento sfrenato, sulla spensieratezza senza obiettivi didattici o pedagogici veicolata da una sorta di moto perpetuo di gambette e braccine, facendo piazza pulita di pompose morali vittoriane poco digeribili dal pubblico fanciullesco. I Brownies si pongono nell’editoria per l’infanzia dell’epoca come una deflagrazione anarchica. Saranno una delle fonti d’emulazione per altri classici, in cui i bambini sostituiranno felicemente i folletti, a volte anche con un pizzico di cattiveria come The Katzenjammer Kids di Rudolph Dirks, noti in Italia come Bibì e Bibò. Forse è per questo ricercato disordine che non compare nei libri di Cox quell’attenzione all’eleganza della veste grafica che si andava delineando con artisti come Walter Crane, Louise-Maurice Boutet de Monvel, Eugene Grasset, e che costituiva uno dei punti importanti del rinnovamento editoriale di fine Ottocento.

La vita di Cox fu segnata dai Brownies quanto quella dei suoi giovani lettori poiché intorno ai folletti da lui visualizzati crebbe un merchandising molto vasto e ancora ricercato (dai 250 ai 500 dollari per il libro in questione), che comprende pupazzi, sagome, posate, piatti, vassoi, bibite, timbri in gomma, caramelle per la gola, tappeti, figurine, decalcomanie e anche spartiti musicali, visto che scrisse un musical, The Brownies in Fairyland. La Kodak produsse perfino una macchina fotografica dedicata ai suoi omini, la Brownie Eastman Camera, unico oggetto tra i citati su cui sembra che Cox non abbia mai potuto avanzare nessun diritto.

L’artista morì nel 1924 a Victoria Park – Granby, la città dove era nato, ma in una nuova, affascinante dimora chiamata, ovviamente, Brownie Castle, edificata con i proventi del lavoro e vistosamente decorata con vetrate, bandiere e merlature con l’effige dei rappresentanti del piccolo popolo.

Stranamente non sembra esistano leggende sull’infestazione di Brownies all’interno del castello.

 

Palmer Cox, Brownie – Year Book, McLoughlin Bros, New York, 1895, cartonato con dorso in tela blu e copertina applicata a colori con dorature, formato in quarto, 12 illustrazioni a colori stampate in cromolito a piena pagina e 12 testatine al tratto.

 

(1) Vedi articolo su Brian Froud nella sezione “Pergamene”.

(2) In effetti il libro, sebbene raro, è molto noto in America e la collocazione in questa sezione del sito è relativa alla sua pressoché totale assenza nelle conoscenze dei lettori italiani.

 

Riporto qui di seguito delle precisazioni giunte in data 28 Aprile 2015 ( l’articolo è stato postato il 22 Settembre 2014) dall’esperto Alfredo Castelli, che non ha di certo bisogno di presentazioni e che, molto cordialmente, ringrazio: dopo il Wide Awake Magazine, i Brownies diventano enormemente popolari grazie alle uscite sul St Nicholas Magazine, per questo escono i libri. E, in realtà, le avventure dei folletti SONO uscite anche in Italia, precisamente sul Giornale dei Fanciulli 1888-1900 e nel volume Le gloriose gesta dei Nani Burloni, stampato in varie edizioni. Inoltre c’è almeno un altro libro a colori, The Brownies Kind Deed (1904). Le commedie commedie musicali sui Brownies sono due e divennero anche “veri” fumetti.

 




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