Splendori e miserie della birra nell’immaginario del XX secolo.

Parte I: Infiorescenze del luppolo tra gli svolazzi del Liberty.

mucha meuse

di Giorgio Perlini

Questo articolo è il primo di una serie di quattro con i quali cercheremo di comprendere come sono cambiate la proposta e la percezione della birra nel corso degli ultimi cento anni. Ci limiteremo ad analizzare il fenomeno sul solo versante delle arti grafiche, tralasciando la trattazione di quanto proposto sul tema da altri mezzi come cinema, televisione, e musica, i quali richiederebbero approfondimenti separati. Data la mancanza di letteratura in proposito e la conseguente novità dell’operazione, il giudizio finale, per quanto basato su prove oggettive, sarà probabilmente personale, cosa che non ci dispiace affatto ed anzi vorrebbe spronare una discussione.

Dunque iniziamo la carrellata dall’inizio del Novecento, quando si diffonde la prassi dell’affissione del manifesto. La strada della pubblicità murale è stata all’epoca già spianata da un disegnatore straordinario, Henri de Tolouse-Lautrec, disinvoltamente diviso tra pittura e cartellonistica, forse il primo ad aver capito che è necessario ragionare in due modi diversi, non prestare il dipinto alla pubblicità ( come avviene nel caso di John Everett Millais o George Dunlop Leslie ) bensì realizzare immagini appositamente concepite, e che per l’efficacia del tema urgono innovazioni stilistiche ( pochi segni energici stesi con colori primari) e tecniche (una stampa che renda la brillantezza del colore piatto, come la litografia). Nei primi due decenni del secolo le vie delle popolose città si riempiono di bellissimi manifesti. L’Europa è in gran fermento; il movimento socialista sprona la classe operaia a prendere coscienza della propria forza, le esposizioni universali esibiscono il progresso, Thomas Edison e Nikola Tesla duellano a colpi d’elettricità, dirigibili ed aeroplani rubano agli uccelli la conquista dei cieli, gli uomini guidano le prime automobili con le donne al fianco e queste, se proprio non hanno chi offra loro un passaggio, girano in bicicletta. La vita, uscita da un certa ruralità, acquista dinamismo ed i manifesti pubblicitari debbono tener conto di questa fruizione veloce e distratta. Dunque sono necessarie chiarezza e semplicità. La sopracitata bellezza di quei manifesti è data dai colpi di frusta dell’ art nouveau, massima rappresentazione delle tendenze modaiole dell’epoca, che invero proprio semplice non è, ma nella sua idea di sintesi formale è già una riduzione, sebbene elaborata in chiave di eleganza. Poco dopo quelle frenesie saranno azzerate dalla più deleteria delle frenesia mondiali, la Grande Guerra.

Tra i prodotti mostrati in quei manifesti compare anche la birra, ed in alcuni casi compare ad opera di disegnatori molto importanti. Il primo di questi è Alphonse Mucha, leader indiscusso del liberty boemo, autore delle pitture della sala municipale di Praga e dello straordinario ciclo di tele con l’epopea slava. Mucha nei suoi manifesti pubblicitari ha sempre disegnato ciò che più gli stava a cuore, e cioè le belle donne, ponendo il prodotto in secondo piano, ed anche in questo caso si comporta allo stesso modo. C’è da dire comunque che l’immagine femminile in pubblicità si è sempre rivelata una attrattiva fortissima, in quanto il pubblico maschile apprezza, e quello femminile si immedesima, dunque i manifesti di Mucha, molto ammirati all’epoca, sono tra i pezzi più ambiti dai collezionisti moderni. Poggiata con nonchalance al di sopra della seriosa rappresentazione dello stabilimento ( che probabilmente non venne realizzata da Mucha, infatti non compare nel disegno originale ove si vede uno spazio vuoto entro la cornice ideata dal maestro) la figura della Bieres de la Meuse potrebbe essere una delle sue allegorie delle quattro stagioni, nello specifico l’estate; dall’ acconciatura, tra spighe che preannunciano il malto e vistosi fiori di papavero emblemi dell’oblio, sbucano infiorescenze di luppolo. L’artista dimostra l’insolita conoscenza di una pianta iconograficamente poco nota, evidentemente studiata per l’occasione. La presenza del papavero stabilisce un contatto con quella cultura decadentista che aveva identificato nell’assenzio la bevanda dell’evasione verso altri mondi da cui non sempre si riusciva a tornare sulla terra (assenzio e papavero da oppio venivano spesso assunti insieme). Quella cultura era intrisa di snobismo e la birra si atteggia, in queste prime immagini pubbliche, come una sorella lecita dell’assenzio (che nel 1915 venne dichiarato fuorilegge), molto meno pericolosa ma altrettanto raffinata. Il manifesto in questione risale al 1897. Pochi anni dopo (1906), troviamo l’opera di un altro maestro, Adolfo Hoenstein, cartellonista d’eccezione e direttore della “sezione creazione e stampa” delle officine Grafiche Ricordi di Milano. Per la Birra Italia ancora una mattinata estiva e ancora belle donne ma dall’aspetto ninfesco, galleggianti a mezz’aria, a ricondurre in ambito antico ed un po’ trasognato la presenza altrimenti troppo concreta del maschio ben piantato per terra, coi baffi da deputato e le spalle da agricoltore, i bicipiti nascosti eppure palesemente enfi dal sollevamento della botte. Il lavoro nobilita l’uomo ma la pubblicità ha il dovere di distrarlo dal lavoro quando è troppo; se Mucha lanciava il messaggio “la birra è femmina” Hoenstein aggiunge “e come tale è roba da uomini”.

Celeberrimo autore di immagini pubblicitarie è pure Marcello Dudovich che impara il mestiere a Milano proprio sotto Hoenstein, poi nel 1920 diventa direttore dell’IGAP di Genova. Risale a quegli anni il manifesto per la Birra S.Giusto. Per la verità non si tratta di una delle sue opere migliori, l’inserimento del tondo con la cattedrale di San Giusto di Trieste crea una dissonanza, la sobrietà dell’architettura romanica sembra fuori luogo nel contesto donne-alcool, e non credo che Dudovich volesse giocare col doppio senso della parola “spirito”. Piuttosto gioca col “doppio malto”, duplicando simmetricamente la figura femminile in un esempio di metalinguaggio – questo sì, bisogna riconoscerlo – molto efficace; la due donne, elegantissime in abito nero e collana di corallo, reggono due bottiglie sulle cui etichette è rappresentata la stessa immagine del manifesto, e l’effetto si suppone continuare suggerendo il concetto di infinito.

A questo punto non possiamo non menzionare Leonetto Cappiello, collaboratore della MAGA ( dal nome del fondatore Giuseppe Magagnoli) di Bologna, una delle più importanti agenzie pubblicitarie italiane anteguerra, con succursale a Parigi. I due manifesti di Cappiello sono stati eseguiti nel secondo decennio del secolo. Il primo è per la birra Itala, il cui bicchiere campeggia monolitico come la stele di un culto pagano innalzata alla divinità dell’ebbrezza. Intorno un girotondo di baccanti in abito da serata danzante, dipinte con la stessa gamma di colori caldi ed invitanti del bicchiere. In blu si evidenziano le silhouette delle signorine, suggerendo un’ambientazione notturna. Nella seconda immagine, realizzata per la birra Metzger ( prodotta in Italia da un alsaziano), un personaggio dalle fattezze falstaffiane alza il boccale in un brindisi, pronto a bere la schiuma che precipita a cascata dall’alto. E’ una moderna visualizzazione del satiro Sileno, i cui racconti vogliono spesso ubriaco, ma nasconde anche una citazione più difficile da cogliere; Cappiello fa riferimento al leggendario re delle Fiandre Gambrinus, considerato il patrono della birra, fulvo e rotondo. I colori sono ancora caldi, il rosso della barba rischia di rubare la scena al giallo della libagione e per questo la luce viene convogliata sul bicchiere. Entrambi i manifesti propongono una bevanda connotata come allegra, lanciando l’idea che in certi casi il divertimento prende il sopravvento. (Ed in questo Cappiello è stato, lo vedremo nei prossimi articoli, un precursore). L’artista viene considerato il principe dell’immagine affissa, ed il giudizio ci sembra giusto solo in parte. Nel senso che, se è vero che sull’efficacia delle immagini di Cappiello non vi è nulla da dire, anzi, gli riconosciamo l’invenzione del fondo nero su cui si stagliano i coloratissimi soggetti, ed anche forse un primato nell’ideare personaggi che divengono l’immagine stessa non solo del prodotto reclamizzato ma dell’intera ditta che lo produce, per contro, la qualità dei suoi disegni non è all’altezza di quella degli altri artisti citati; le sue figure denunciano anatomie un po’stentate, più vicine al gusto popolare che al classicismo, ed anche il segno in certi casi è poco virtuoso e piuttosto naif. Nonostante tali limitazioni Cappiello si sforza di restare in quell’ambito di raffinatezza estetica in cui ben si inquadrano i suoi colleghi, ed anche le birre da loro reclamizzate. Nell’epoca bella, come la chiamarono i Francesi, era bella anche la birra, e per aprire la porta della persuasione del pubblico si usava la chiave dell’immagine nobile. Ma nel volgere di pochi anni, un po’ per situazioni sociali oggettive ed un po’ per l’azzardo dei pubblicitari, si sarebbero visti i primi cambiamenti.

 

Apparso sul n.0 del magazine on line NONSOLOBIONDE.IT (2013)




Scrivi un commento


© 2013 tu(t)ti libri, io mi libro - powered by (rob.a) grafica