Teratologia domestica

In coda al sito mi si conceda un po' di autoreferenzialismo; inserisco alcune delle mie sculture ispirate agli innumerevoli libri letti. Le parole di commento le affido al professor Antonio Faeti, sicuramente il più autorevole dei collezionisti di queste piccole opere. L'articolo lo scrisse molti, moltissimi anni or sono in occasione della mia prima mostra nella libreria Giannino Stoppani di Bologna, ed è ancora efficacissimo.

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di Antonio Faeti

Chi si addentrava, un tempo, tra i cartacei meandri di una  edizione Nerbini di “Nostra Signora di Parigi” di Hugo, trovava Quasimodo, certo e subito. Quasimodo inteso come mostro riassuntivo e programmatico, come condensazione epifanica di molti elementi anche dotati di contrastante differenza, Quasimodo come emblema (fin dal nome…) di una calcolata provvisorietà costruttiva, Quasimodo che dialoga con le “grottesche” della Cattedrale come se fosse una di esse, passata dalla pietra alla carne conservando però gli spigoli, le asprezze, le violenze interne al sistema di segni che lo definisce. E poi anche il Quasimodo interpretato da Charles Laughton, nel film di William Dieterle del 1939, un Quasimodo clamorosamente ammiccante nei confronti di tutta una teratologia filmica già fino a quel punto benissimo delineata, un Quasimodo che era, a causa della speciale incontrollabile bravura del sommo Laughton, perfino capace di spremere, da tutti i Quasimodi presenti e passati e futuri, una specie di coscienza in cui l’ incompiutezza legata al nome si rendeva programma estetico e creava un paradigma visivo che chiedeva di essere osservato nelle sue controverse scansioni.

C’è un bambino, Giorgio Perlini, che guarda i Quasimodo di Nerbini e di Laughton quando non dovrebbe né potrebbe guardarli : non appartiene alle generazioni che videro quei film, che sfogliarono quei libri, si è guadagnato il suo Quasimodo filmico e nerbiniano non con la casualità dell’ incontro in cui ogni generazione celebra i propri Riti e venera i propri Miti, ma con una specie di alleanza oniricamente progettata. Perlini guarda Quasimodo ma non ha mai lo sguardo innocente di tanti successivi lettori di Hugo, nel mostro della cattedrale cerca infatti una testimonianza aggregativa su cui fondare il proprio programma espressivo, tutto rivolto a fare di sé un teratologo dotato di molte consapevolezze. Anche Quasimodo, del resto, era stato creato da Hugo proprio per stabilire una specie di soglia in cui l’ agonia romantica avrebbe potuto trovare una sorta di epicentro visivo. Quasimodo viene molto prima dei mostri che sapranno scandire certe tappe, non rinunciabili, nel percorso storico di un immaginario collettivo in cui Dracula e il Fantasma dell’ Opera annunciano il sangue dell’ Europa che scivola nelle trincee di due guerre e ammiccano in modo truce all’ Olocausto. Il Quasimodo di Perlini deve fare i conti anche con i mostri di Jurgis Baltrusaitis e quindi può indicare un altro giustificato itinerario. Nella memoria e nella percezione di questo giovane teratologo c’ è forse un cinema dove proiettavano il film di Dieterle, ma è un cinema posto accanto a Bomarzo e non distante da un’ edicola colma di giornalini.

I  teratologi del romanticismo e del feuilleton avevano le idee chiare, a proposito dei loro mostri, e questo è anche certo una preziosa contraddizione che li sposta lontano da Goya: loro, insomma, creano mostri proprio perché quel tanto di ragione che possiedono e in cui confidano, resta ben sveglia. Essere i teratologi di una ragione insonne è un programma, del resto, e ad esso attinge anche Perlini che viene comunque sempre “dopo” e si colloca lì, a distanza, ricco di tutte le nozioni da altri ritrovate ed espresse, quindi dotato della possibilità di sorridere. Anche i freaks di Browning, con il loro Circo che si riflette nello specchio demoniaco, sono chiamati a far parte di questo gran concerto teratologico. Il creatore di mostri è sempre, ad un tempo, un testimone che raffigura e un sapiente che interpreta. C’è una mummia che ha riempito sogni di giovanissimi lettori in ogni parte del mondo, perché è la mummia protagonista di un famoso episodio di “Tintin ” di Hergé, quindi di un fumetto molto celebre. Andava collocata anche lei, la mummia, in questo museo teratologico, per rendere omaggio, in modo evidente e chiarissimo, alla percezione bambina che predilige i mostri e li cerca anche tra le pagine aurorali di questo fumetto belga.

C’è ancora, di tanto in tanto (anzi, al presente c’è un sussulto, in questo senso) chi si stupisce, e forse si accora, si preoccupa della ribadita preferenza che i bambini rivolgono ai mostri. E ‘ tutto molto facile da spiegare: prima che la loro percezione venga addomesticata, i bambini sono devoti hoffmanniani, amano le combinazioni incongrue, prediligono una lettura trasversale del mondo, una specie di risarcimento nei confronti delle chiusure, delle intimidazioni, delle istruzioni per l’ uso. Però quando si condensano, nella stessa proposta di lettura, Hoffmann, Hugo, Browning, Baltrusaitis, Goya ed Hergé, allora occorre anche guardarla con un certo occhio, questa biblioteca che così si è composta. In fondo Perlini, in virtù certo anche del possesso di una perizia tecnica che gli consente di muoversi come vuole e di citare chi vuole, ha composto un aggregato di riferimenti in cui si identificano correlazioni ingovernabili e accostamenti senz’ altro non giudiziosi. C’è un cavaliere a cavallo di un ranocchio che indica poi come qui si rilegga Tolkien, o si riguardi Bosch, con un occhio tanto colto quanto smaliziato. Perché si deve anche dire che tutti questi mostri, e i Balbarberi, e i Vampiri, e Gnomi ed Elfi, e molti Golem, qui sono sempre osservati con un sorriso che non appartiene certo alle varie assemblee dei celebranti. E’ un sorriso partecipe ed appassionato, ma è pur sempre un sorriso. La rivisitazione non è parodica, ma il teratologo sorride. Una nuova contraddizione? No, una nuova sottolineatura offerta ad un criterio di lettura sentito sempre come aperto. Solo con l’addentrarsi di Alice nelle peripezie offerte dallo specchio, si vedono, in realtà, questi mostri che mescolano l’horror al riso. Brandelli di una Alterità amata, desiderata, blandita, resa ludica dal sogno infantile, sono i testimoni di una liberante possibilità di guardare altrove e di vedere in modo diverso. Non tutte le teratologie sono liete, naturalmente, e non sempre si può di esse fornire una versione giocosa. L’ Ars Combinatoria di Perlini è però anche fondata su una dilatazione delle occasioni che si dà raramente. Occorre soprattutto tenere presente la linea Baltrusaitis-Hergé, perché è quella che meglio connota questa particolare impresa teratologica. Chi ama e conosce Bosch non ama e non conosce i fumetti, di solito. E poi oggi esistono fumetti popolari che citano Bosch con piena consapevolezza. Così si scopre che i mostri di Perlini chiedono, per essere davvero visti, di compiere un’ operazione culturale in grado di tonificare lo sguardo e di renderlo aperto a nuove occasioni percettive. Non sono operazioni proprio nuove quelle così sollecitate, sono ritorni ad incroci prima possibili, poi vietati. Il colto, il raffinato Goya spiava le sue streghe nelle stampe popolari, e Hugo, dominatore di salotti letterari, non disdegnava di andare a guardare nelle gerle dei colporteurs per vedere bene che cosa contenevano. Nodier rende esplicito il suo debito verso i narratori delle classi subalterne. Il grande oceano delle Finzioni Occidentali accoglie, legittima, fa procedere, fa anche incrociare. E le piccole letture in creta di Perlini, stanno lì, nel mare non conoscibile. Ogni Little Nemo (in sogno), ogni sveglia Alice ed ogni Peter (tutte parti vive e riconoscibili di noi stessi ) guardano lieti i loro fratelli mostri. Proprio come il bambino che nelle disumane geometrie dell’ imperfetto Quasimodo vedeva le fascinose componenti di un’ altra bellezza.

 




Commenti

  1. 01. matteo

    Bellissime!

  2. 02. Giorgio Perlini

    Grazie Matteo!


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