Antonio Rubino ed il Sogno di tre betulle

Un libro nostalgico anche quand’era moderno

DSC_0214di Giorgio Perlini

 

Da ragazzo, la passione, in verità mai sopita, dell’esplorazione urbana dei luoghi dell’abbandono – principalmente cimiteri e fabbriche – conduceva me ed i miei amici in missioni avventurose. Quando imparammo ad usare le macchine fotografiche queste escursioni si trasformarono in una ricerca artistica che si protrasse per anni, contemplando anche altri siti, come le vecchie colonie marittime. Un giorno, in escursione sul monte Piambello in Valganna, provincia di Varese, ci capitò di imbatterci in una insolita colonia alpina diroccata, della quale conservo ancora un’immagine potente nonostante fossi disarmato della mia amata reflex Petri. Imparai a posteriori che si trattava di un villaggio fondato dal Turing Club Italiano nel 1921. In conseguenza della tragica disfatta di Caporetto del 1917, il TCI, su idea del commendator Mario Tedeschi, decise di raccogliere fondi per pacchi dono da consegnare ai soldati impegnati sul fronte, così che potessero sentire il calore della popolazione. La cifra finale fu tanto abbondante che con quanto restava si pensò di costruire un luogo che potesse ospitare gli orfani di guerra ed i bambini malati (frequentemente di tisi) e consentire loro di trascorrere vacanze circondati dalla natura. In realtà si faceva anche scuola, l’organizzazione era completa, mens sana in corpore sano, in perfetta sintonia con i dettami di quel regime fascista che successivamente, all’interno dello stesso villaggio, sarebbe stato criticato attraverso l’esaltazione del tema della pace. La struttura di Piambello crebbe fino a diventare villaggio, divenne anche meta invernale (da Novembre a Giugno con soggiorni a bimestri), e continuò ad ospitare bambini fino alla metà degli anni Ottanta, resistendo forse anche troppo alla passata moda delle colonie. Poi venne abbandonata ed iniziò così il disfacimento. Ciò che proprio non potevo immaginare all’epoca della mia esplorazione è che tale villaggio, al culmine del suo splendore, era stato oggetto di un libro illustrato da Antonio Rubino. Il sogno di tre betulle è un libro poco celebrato, probabilmente perché realizzato in epoca tarda, quando l’artista aveva superato la sua fase di Simbolismo bizzarro e si dedicava a più elementari composizioni per bambini. L’attuale prezzo dell’opera, sempre piuttosto alto (mediamente 450 euro), non mi permetteva facili avvicinamenti, ma ora sono riuscito a reperirne una copia ad una cifra ragionevole e quando l’ho avuta in mano ho collegato e capito. Cioè, da capire c’è poco, in quanto è il libro stesso che racconta la storia della fondazione del villaggio (senza citare Caporetto, ferita mai cicatrizzata) e dello svolgersi di tutte le sue attività descrivendo strutture e personaggi. Ma è emozionante riconoscere i luoghi disegnati da Rubino e perfettamente corrispondenti alla realtà. Il volumetto, che a giudicare dal timbro apposto sull’ultima pagina “Omaggio del TCI” era regalato ai soci e sostenitori, venne scritto da Nuccia Cagna, professoressa liceale e scrittrice figlia d’arte, la cui opera più nota è Fiabe e leggende dell’Europa Centrale. La scelta dell’autrice ed anche dell’illustratore è dovuta ad Ettore Moretti, industriale filantropo e grande ufficiale del TCI, che veniva chiamato al villaggio Papà Moretti e che con tale pseudonimo firma una dedica in apertura di libro (1), stampata tipograficamente ma spesso equivocata dagli antiquari come eseguita di pugno. La ditta Moretti produceva materiali da campo come teloni impermeabili, articoli per alpinisti e campeggiatori, ed ecco dunque la familiarità con il Touring Club. Inoltre Moretti aveva dimestichezza con gli artisti, e soprattutto aveva capito l’importanza del loro lavoro in campo pubblicitario. Si era più volte avvalso di Luciano Mauzan, di Gino Boccasile e di Leopoldo Metlicovitz, di cui resta celebre il manifesto con i cavalli che trasportano un carico ben protetto da coperta impenetrabile alla pioggia. In Rubino identificò l’artista dedito ai bambini, dunque quello più adatto a disegnare gli stessi, in vivace azione in luoghi per loro appositamente concepiti. Così, nel 1949, il libro vide la luce. Una luce brillantissima e, a differenza del villaggio, inalterata, poiché le tavole di Rubino restano tanto squillanti da sembrare appena stampate, merito anche dell’attenzione prestata negli stabilimenti Amilcare Pizzi, conosciuti fin dalla loro nascita per la cura tipografica. Le tonalità sono perlopiù autunnali, dunque una vasta gamma di rossi, aranci, gialli e marroni anche quando nei cieli dilaga l’azzurro e i colori hanno qualcosa di adamantino. I neri sono limitati alle sole linee di contorno e perfino le ombre si fanno trasparenti e graduate.  L’artista tocca il colmo della sua poetica fanciullesca, le tavole gareggiano in bellezza con quelle eseguite per il più noto Libro del Belvedere che lo precede di due anni. Scrittrice ed illustratore trovano perfetta sintonia nella ricerca di un ideale di calocagazìa ellenico traposto in chiave cristiana: nel villaggio tutto è pensato per ricondurre al bello/buono/giusto e la guarigione e crescita dei piccoli ospiti avviene grazie al loro vivere immersi nella Santa Natura. Questa è accompagnata dalla Cultura religiosa ed il trascorrere del tempo è scandito da molte attività tra cui spicca la preghiera. La prosa della professoressa Cagna però è smaccatamente retorica – derivata direttamente dal periodo bellico pur inneggiando alla pace – e ciò ha costituito forse l’ostacolo al mancato successo dell’opera nel campo della critica e del collezionismo nonostante le preziose tavole riscattino ampiamente il testo. Ma tra i due autori, la sintonia più interessante è quella, involontaria, di una struggente malinconia. L’effetto deriva dalla descrizione di un’esperienza che, sebbene rinnovabile con ogni nuovo bambino, resta irripetibile per quelli già passati. Dunque l’opera doveva risultare nostalgica anche appena pubblicata. Se a questo si aggiunge quanto è oggi di nostra conoscenza, e cioè lo stato di disfacimento del luogo, ecco che l’effetto moltiplica esponenzialmente. Due autori scomparsi che narrano della nascita di un luogo ameno, teatro di infanzie felici, che non esiste più, o peggio, c’è ancora ma è solo vestigia. Dalle fotografie reperibili si vede quanto Rubino fosse stato attento alla riproduzione degli stabili, e chissà che non vi si fosse recato personalmente in visita. Su questi scenari architettonicamente esatti, la scuola, il refettorio, la fontana, l’arco di ingresso, collocò i suoi bambini-pupazzetti disegnati con quel segno matematico e al contempo fantasioso, cifra stilistica che lo rendeva riconoscibile ovunque (2). Due momenti particolarmente lirici si riscontrano nei paragrafi “La pinacoteca del villaggio” e “Alla scoperta della luna”: nel primo si descrive una raccolta di dipinti davvero unica, le cui cornici sono costituite dalle finestre dei vari edifici che inquadrano paesaggi commoventi e mutevoli, tutti eseguiti dall’imitatissima ma irraggiungibile Madre Natura. Una di queste finestre mostra proprio le tre betulle, il cui sogno, quello della convivenza con gli uomini, è alla base di tutta la storia. L’altro paragrafo narra dell’uscita notturna dei bambini per raggiungere un’altura dalla quale contemplare il plenilunio, fenomeno ammantato di magia e mistero visto che i piccoli villeggianti usano andare a dormire abbastanza presto. Nell’ illustrazione relativa Rubino inserisce anche una coppia di conigli in stile cartone animato, dettaglio che riconduce un lavoro più realistico del solito in un contesto favolistico. Altri particolari buffi si scovano nei piccoli disegni monocromatici. Notevole quello, addirittura grottesco, con i due pulcini affamati davanti al piatto di cibo. Sembra che l’artista debba esercitare un forte autocontrollo per contenere la sua vena satirica. Ma tutto questo è sottotraccia, l’essenza è che una manciata di tavole a colori è capace di rendere immortale l’esperienza meravigliosa di un luogo dimenticato.  E mi viene da pensare a quanti bambini villeggianti, i quali sicuramente si saranno divertiti con i personaggi inventati da Antonio Rubino per il Corriere dei Piccoli, non avranno mai saputo che lo stesso autore illustrava un libro sul loro amato villaggio ospitante…

 

Nuccia Cagna, Il sogno di tre betulle – quasi una fiaba, Amilcare Pizzi, 1949, cartonato leggero con sovraccoperta figurata e velina muta, in quarto, 12 illustrazioni a colori a tutta pagina ed altre piccole monocromatiche nel testo di Antonio Rubino.

 

 

(1) “ad ogni anima gentile che vuol serbare all’infanzia il suo sorriso” Papà Moretti.

 

(2) Vedi l’articolo Il Rubino ritrovato nella sezione “Ritagli” di questo stesso sito.




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