Il Demone dei ghiacci

Il feuilleton incompiuto di Jacques Tardi

TardiCoverdi Giorgio Perlini

Certe volte la perla è sotto agli occhi di tutti, e per questo invisibile. Capita che il libro delle meraviglie non sia poi così raro e lo possa ancora trovare ad un prezzo ridicolo, magari inferiore a quello stabilito quando uscì per la prima volta. Può essere che l’editore, resosi conto della bellezza di ciò che avrebbe mandato in libreria ne abbia fatte stampare parecchie copie ma, contrariamente alle sue previsioni, l’operazione sia stata un flop perché i tempi non erano maturi, ed il tutto sia poi caduto nel dimenticatoio. Le cose debbono essere andate così per l’unica edizione italiana de Il Demone dei ghiacci di Jacques Tardi, datata 1979. Se non fosse per la recente trasposizione cinematografica di Adele Blanc Sec ad opera di Luc Besson (Miss Adele e l’enigma del faraone), molti lettori di fumetti italiani ignorerebbero ancora oggi le opere di Tardi. Il volume in questione venne inserito dalle edizioni L’isola Trovata nella collana “Maschere e Pugnali”, insieme a La piramide dimenticata, Felina, Ombre dal nulla, e Appuntamento a Sevenoaks, avventure di scarso rilievo fatta eccezione per l’ultima, opera prima della coppia Floch e Riviere, che meriterebbe invece un approfondimento. Tutti i suddetti libri sono ancora reperibili nelle bancarelle dell’usato per una manciata di Euro, eppure il Demone dei ghiacci ( che è il più raro ) è un fumetto strepitoso. Tra l’altro l’edizione italiana si caratterizza per la scelta di una carta ambra e la stampa in inchiostro marrone seppia che la rendono la più bella tra quelle esistenti, compresa la prima francese ( il cui valore ha raggiunto i 200 Euro ). Potrebbe anche essere successo, chissà, come accade spesso con le tipografie, che sia stata proposta alla casa editrice una rimanenza di carta ad un prezzo d’occasione, e l’offerta sia stata accettata. Il dubbio sorge perché solo per questo volume della serie venne usata tale carta raffinata. Credo che soltanto Luigi Bernardi, lo scomparso curatore della collana, avrebbe potuto dirci la verità in proposito. Fatto sta che tanta cura nell’attenzione alla veste grafica – di cui nessuno si accorse – la dice lunga sulle aspettative dell’editore e sul suo tentativo di ricondurre il lettore sulla via dei vecchi romanzi d’appendice dei bisnonni. Con questa denominazione si intendono quei romanzi a puntate che nell’Ottocento venivano inseriti alla fine della rivista, in appendice appunto, e che cercavano di tenere i lettori sospesi fino all’uscita del nuovo numero. In Francia tali romanzi venivano chiamati feuilleton, in quanto occupavano la parte inferiore del foglio, ed annoveravano tra gli autori più prolifici Jules Verne. Jacques Tardi cercò di ricreare nel fumetto le atmosfere delle avventure di Verne ( una delle quali si intitola guarda caso La sfinge dei ghiacci ), la cui citazione è continua ( la nave si chiama Jule Vernez , tanto per riportarne una eclatante ). I disegni sono eseguiti simulando lo stile delle incisioni che corredavano queste storie (1), strizzando però l’occhio anche a due eccelsi scrittori/disegnatori d’epoca liberty, Robida e Yambo. Perfino il colore rosso in  copertina non è casuale ma scelto per richiamare quello delle storiche edizioni Hetzel. La carta marroncina spegne la solita bianca luminosità un po’ fredda e conferisce un ulteriore elemento antichizzante poiché rimanda alle fioriture di muffa che spesso infestano i libri del XIX secolo.

Il fumetto si ambienta nel 1889 e narra delle disavventure del giovane Jerome Plumier coinvolto in macchinazioni per la distruzione del mondo che gli faranno percorrere, suo malgrado, un itinerario periglioso tra le banchise dell’Artico e la foresta amazzonica, passando per Amsterdam, poi Parigi, Brest, e di nuovo l’oceano. In questo modo il protagonista ha modo di compiere un viaggio iniziatico attraverso una serie di topoi dell’avventura classica e dell’immaginario ottocentesco: il polo, la foresta, il fondale oceanico, i sotterranei delle vestigia della piramide di una grande civiltà scomparsa, il cimitero monumentale, il laboratorio dello scienziato pazzo, la sala macchine del prodigio a vapore, il treno di lusso, le camere da letto che detronizzano quelle di Des Esseintes e di casa Gustave Moreau a Parigi; il tutto in una sessantina di pagine. In ogni capitolo ci si addentra, sbalorditi quanto Jerome, in nuovi scenari che costituiscono la vera sorpresa, più dello sviluppo della trama stessa. La resa di questi luoghi è straordinaria, ottenuta con una tecnica mista che contempla oltre l’inchiostro, l’uso di retini, lo sgarzino, la tempera bianca, ed il collage di alcuni elementi ritagliati da incisioni originali. Certi elementi scenografici, per raggiungere maggior precisione, sono stati disegnati con l’aiuto di fotografie inserite in un episcopio. Le vignette sono disposte sulla pagina in totale libertà ma cercando sempre una composizione sinuosa da calendario liberty. Le figure umane, nonostante siano delineate da un largo segno di contorno, tendono all’assorbimento da parte dell’ambiente e se non avessero i loro primi piani con le facce pallide si dissolverebbero in mezzo ai grovigli vischiosi e triti di dettagli di flutti schiumosi, sbuffi di vapore, pareti bullonate, tappezzerie decadentiste. Forse l’autore vuole far passare il concetto che i personaggi sono prigionieri degli eventi, incapaci di districarsi da quanto li circonda; nasce con questo fumetto un pessimismo che Tardi svilupperà nelle opere successive, specie quelle ambientate durante il secondo conflitto mondiale. Nel nostro caso è forte il tema dell’ambiguità della scienza; il secolo in arrivo promette un progresso sfrenato e la proiezione verso un futuro scintillante, ma qualcuno nell’ombra si serve dei miracoli tecnologici per perverse ambizioni personali che puntano alla schiavitù dell’umanità e al genocidio. A pagina 47 l’immagine di un anonimo meccanico cita emblematicamente una scena del distopico Metropolis di Fritz Lang, quella in cui gli operai sono impegnati a puntare le lancette di immensi contatori su lampadine che si accendono e spengono continuamente. Il Demone dei ghiacci è un fumetto complottista, dove perfino il protagonista, ovviamente buono in origine, da disinteressato ma anche ingenuo qual è finisce per aderire alla cospirazione inebriato dalla sensazione di potere che il pensiero della distruzione dell’umanità gli evoca. L’opera si chiude così, con un punto interrogativo su di un finale irrisolto, probabilmente destinato nell’intenzione dell’autore ad essere ripreso in un secondo episodio – in cui si sarebbe potuto scoprire che Plumier fingeva soltanto di essere dalla parte dei cospiratori – che non è mai stato realizzato ed in cui ci si sarebbe aspettati il ritorno di Jerome ad un ruolo positivo. “A suivre”, come dicono in Francia, ed invece l’interruzione del feuilleton sembra essere tanto misteriosa quanto definitiva. Probabilmente perché il lavoro è così complesso nell’esecuzione da far scegliere al disegnatore soluzioni più economiche, come accade nelle avventure di Adele Blanc Sec, successive al nostro fumetto. Qui sarà la gamma dei colori scelti a richiamare l’atmosfera fin de siecle, ed il disegno, per quanto interessante, si adeguerà a modelli più tradizionali. Le storie di questa eroina dovrebbero forse consolare chi auspicava un ritorno di Jerome Plumier: gli scenari della Parigi ottocentesca contemplano il Museo di scienze naturali, la rete fognaria, il cimitero di Pere-Lachaise, il parco Monceau, e nelle storie compaiono uno pterodattilo sopravvissuto al giurassico, gli adoratori del demone assiro Pazuzu, un pitecantropo vivente, una mummia vagante. Ed ecco la chicca: leggendo l’episodio Momies en folie compare inaspettatamente il nostro Plumier, all’interno della piramide di Parc Monceau. Ma Tardi lo fa morire nella vignetta immediatamente successiva alla sua apparizione, massacrato con tutta la banda del vecchio fumetto interrotto. Si dichiara inoltre che le sue avventure sono state narrate romanzandole nel libro Il Demone dei ghiacci, di cui si mostra la copertina sostenendo con amarezza: al libro, per quanto assai riuscito, non arrise mai il successo che avrebbe meritato… E nella penultima avventura, intitolata Tous des monstres!  il nostro libro riaffiora e lo si scopre all’origine di un’epidemia di follia che porta alla visione di creature immonde, che ogni malcapitato vede in modo differente ma comunque terrificante. (Per la raffigurazione dei mostri sono stati coinvolti molti disegnatori più o meno celebri). Viene incriminata una pagina in particolare, quella con Plumier avviluppato dai tentacoli della piovra gigante. La metafora dell’interpretazione delle immagini, dell’importanza del vissuto individuale e non da ultimo dello stile personale è fortissima, ma restando su di un livello più epidermico, Tardi si prende una soddisfacente rivincita; è lo stesso autore che ripartorisce la creatura, conferendole un’aura maledetta che imparenta il fumetto al King in Yellow di Chambers. Nel film invece il riferimento è più sfumato: Adele, emancipata protofemminista, è una scrittrice molto popolare e tra i suoi volumi si scorge la copertina d’un romanzo intitolato Il mostro dei ghiacci.

Nell’intera corrente steampunk pochi fumetti risultano carismatici come Il Demone dei ghiacci. Se dovessi citare un altro prodotto di livello così alto penserei ad un’opera italiana degli anni Sessanta, Il Dottor Oss scritta da Mino Milani e disegnata da Grazia Nidasio ed apparsa sul Corriere dei piccoli a partire dal 1964. Non si tratta propriamente di un fumetto ma di una storia a vignette con testo sottostante. Nel 2014 tutto il materiale è stato raccolto in un libro bellissimo stampato con le nuove tecnologie partendo dalle tavole originali e dunque qualitativamente di gran lunga superiore alla prima edizione sulla rivista. Se anche la Nidasio ricorre al pastiches tecnico facendo largo uso del collage, risulta differente da Tardi per la linea semplificata che risente della psichedelica del tempo e per la minor drammaticità narrativa, ma lo spirito è lo stesso, entrambi gli artisti sono animati da un grande amore per i romanzi illustrati di Verne e per l’immaginario fantascientifico del XIX secolo.

Un vero peccato che non esista un seguito del Demone dei ghiacci. Però, a pensarci bene, in questo modo si aggiunge ai tanti motivi di fascino dell’opera anche quello dell’incompiuto. L’intera produzione del disegnatore diventa un immenso lavoro realizzato con quella poetica del frammento così intrinseca al contemporaneo. Tanti pezzi, parzialmente connessi, che non giungono ad una fine. Chissà che Jaques Tardi non l’abbia fatto apposta.

 

(1) Vedi l’articolo L’artiglio, la scaglia, la meraviglia nella sezione Caratteri mobili del sito.

 

Jaques Tardi, Le Dèmon des Glaces, Dargaud Editeur, 1974, cartonato in quarto.

Jaques Tardi, Il demone dei Ghiacci, L’isola trovata, 1979, cartonato in quarto. Si ribadisce la superiorità dell’edizione italiana tra tutte quelle realizzate per i vari mercati.

 




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