Il Rubino ritrovato

Piccolo contributo alla ricostruzione dell’opera di un grande disegnatore

Rubino4

di Giorgio Perlini

Se c’è nella storia dell’illustrazione italiana un personaggio celeberrimo, sviscerato e collezionatissimo, quello è Antonio Rubino. Su di lui si continuano a scrivere saggi e monografie, di cui almeno tre risultano fondamentali per capire il personaggio: La matita di zucchero – Antonio Rubino, opera apripista di Paola Pallottino, edita da Cappelli nel 1978 ed inserita in una serie dedicata agli illustratori che costituisce un unicum nell’editoria italiana, Antonio Rubino – Estasi, incubi, allucinazioni 1900-1920, corposo volume di Daniele Riva uscito nel 1980 per i tipi di Mazzotta, che approfondiva l’aspetto gotico dell’autore e certe sue affinità con le avanguardie, ed il recente Antonio Rubino – I libri illustrati, smagliante catalogo a cura di Santo Alligo.

Per questo motivo mi ero imposto di rinunciare a scriverne anche io, sebbene sia un autore che, grazie al primo dei libri sopra citati, mi porto nel cuore fin dai tempi del liceo. Fatto sta che per le festività natalizie mio zio, sapendo di farmi cosa gradita, mi ha regalato un mazzo di vecchie cartoline non viaggiate tra cui, inaspettata e gradita sorpresa, trovo quattro immagini mai viste del Nostro. A me risultano “inedite”, non compaiono in nessuna delle biografie e dei cataloghi di mia conoscenza, però qualcosa potrebbe essermi sfuggito e se qualcuno è in grado di smentirmi lo faccia pure, anzi sarei ben lieto di saperne di più. Le cartoline non riportano la firma, né tantomeno le date di stampa o di esecuzione dei disegni ( vi è solo presente sul retro un marchio editoriale con la stella e le lettere LMF ) ma è evidente che si tratta di opere giovanili poiché quel segno nodoso che costituisce la sua inimitabile cifra stilistica nel periodo dark risulta presente ma ancora acerbo. Credo siano disegni eseguiti non oltre il 1906, da un Rubino circa venticinquenne. Mettono alla berlina vizi e difetti umani prendendo di mira la borghesia e, seppure non trattino tematiche lugubri, nella deformazione grottesca dei personaggi lasciano emergere il lato più oscuro del disegnatore sanremese. Agli angoli inferiori di una delle quattro cartoline compaiono dei rovi spiraliformi, elemento decorativo ricorrente negli ex-libris realizzati nei primi anni del Novecento, giustificato nel caso specifico come emblema della sofferenza di quel marito che deve sopportare il peso di cotanta consorte, trainandola come bestia da soma per giunta cornuta. I colori, lontani dalle tonalità forti e piatte degli anni maturi, sono leggeri e stesi con incertezza, ed un certo grigiore degli stessi farebbe pensare ad una aggiunta in fase tipografica su disegno lasciato dall’artista in bianco e nero. Dunque non dei disegni di fattura eccezionale ma comunque divertenti della loro critica aspra, un’ulteriore tessera nel mosaico Rubino.

A questo punto però non resisto nel lasciare un pensiero personale su di lui. Dirò che non riesco a condividere quei giudizi che lo raccontano come un autore adorato dai bambini. La mia infanzia è più recente di quella dei pargoli per i quali Rubino disegnava, insomma io a quei tempi non c’ero e forse dovrei star zitto, ma sono sicuro che non fosse così tanto amato. Certo aveva dalla sua parte delle storielle crudelmente divertenti ed un segno largo e chiuso che veicolava sicurezza ed invitava alla riempitura colorata ( motivo di dannazione per i collezionisti ) ma quello stesso segno si rivelava meravigliosamente ostico: compiaciuto della riesumazione neogotica del pinnacolo e del doccione, artefice dell’inquietante misticismo contraddittorio della croce uncinata e della corona di spine, quasi monatto per il barocchismo dell’oscura signora nascosta in tutte le tavole, comprese quelle più allegre. Anche quando scelse la strada della geometria di base Rubino non rinunciò al ghirigoro corrucciato. E se proprio geometria elementare doveva essere sarebbe stata pitagorica, non euclidea, un paesaggio di angoli in cui vivono personaggi acuminati. E’ evidente che si trovò di fronte ad un compromesso in cui dovette inventare immagini fanciullesche ma non volle rinunciare al suo stile originalissimo e dirompente. E forse non soddisfece a pieno né gli estimatori di quell’assoluto capolavoro della storia del libro che è Versi e disegni, né i piccoli lettori del Corrierino.

Eppure, ogni volta che i miei studenti chiedono “ Ma prof, tra tutti i disegnatori, chi è il suo preferito? ”, d’istinto rispondo sempre lo stesso nome.

 

 

Riporto una doverosa nota di aggiornamento: a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione dell’articolo mi è giunto il parere autorevole di Santo Alligo, secondo il quale le cartoline in questione non sarebbero opera di Rubino bensì di un imitatore. Anche Alligo infatti anni fa si è imbattuto nelle stesse immagini ed ha chiesto la consulenza della nipote dell’artista, la quale sostiene di essere sicura che non siano opera del maestro. Personalmente continuo a pensare che si tratti di originali ma sto aspettando anche l’opinione della professoressa Pallottino. Non appena l’avrò ricevuta aggiornerò nuovamente la pagina.



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