L’artiglio, la scaglia, la meraviglia

Se l’arte è al servizio della scienza

Figuier0

di Giorgio Perlini

Nell’era di Avatar la creazione artistica finalizzata alla riproduzione scientifica di animali, piante ed interi mondi passa attraverso il computer. Ogni ricostruzione biologica proposta, dalla carta stampata fino al cinema, si avvale di una tecnologia pressoché obbligatoria, quasi l’arte applicata alla scienza sia obbligata anch’essa a razionalizzarsi e cancellare la prassi manuale. Il rischio, tutti i creativi lo sanno, è quello di raffreddare tutto quanto, ottenere creature paradossalmente gommose ma meccaniche, ripetitive nei movimenti, dotate di un anelito vitale ben poco credibile. Capita anche però, che un grande ed affiatato lavoro di squadra consegni alla Storia risultati eccellenti i cui artefici resteranno per lo più anonimi, chiamando la gloria solo sul gruppo, più spesso sul capo, come nel caso di James Cameron e del “suo” film sopracitato. E’ innegabile che Avatar comunichi un senso del meraviglioso come poche opere sono riuscite a fare, qualcosa di simile a Fantasia di Walt Disney ( altro enorme lavoro di creativi geniali noto solo come lavoro di squadra ). Lo sbigottimento che il film induce nell’animo degli spettatori non è causato dalla spettacolarità di certe sequenze, a quella siamo ormai abituati, bensì dalla ricerca poetica della bellezza di un mondo abbastanza simile al nostro e abitato da creature quasi preistoriche benché la storia si snodi nel futuro. A dispetto di ciò che da Cameron ci si aspetta il film è morbido, fluttuante, armonico, per la prima metà quasi lento, sembra di muoversi sott’acqua, come del resto suggerisce la scena iniziale col recupero del protagonista dalla vasca col liquido criogenico.

Un analogo senso della meraviglia dovevano viverlo, nella seconda metà dell’Ottocento, i lettori di due popolari libri sulla preistoria scritti da Louis Figuier e Camille Flammarion, ed illustrati da artisti che ignoravano cosa fosse una tavoletta grafica ma erano esperti nell’uso di tavolette di legno di testa, possibilmente di pero. Louis Figuier era un laureato in medicina, uno scienziato “vero” che con passione si dedicò alla divulgazione, Camille Flammarion un personaggio singolare, scrittore ed editore fornito di salde conoscenze scientifiche ma aperto all’ esoterismo ed alla parapsicologia, autore di circa quaranta testi riguardanti gli argomenti più disparati, dall’astronomia alla vita dopo la morte, dal romanzo fantascientifico al saggio sulla creazione del mondo. Questi due autori pubblicarono, a distanza di un ventennio uno dall’altro, due libri destinati ad impressionare la fantasia dei lettori ben oltre la loro generazione, come testimoniano le successive e numerosissime ristampe, prolungatesi fino agli anni Settanta del Novecento. I due testi in questione sono La terre avant le déluge (Figuier) e Le monde avant la création de l’homme (Flammarion). In Italia vennero editi rispettivamente da Treves e Sonzogno, e gli autori italianizzati, come era d’uso all’epoca, in Luigi e Camillo. Per il modo accattivante in cui presentano l’argomento e le immagini a cui viene affidata la visualizzazione di concetti già di per sé spettacolari restano fascinosi da leggere ancora oggi. (*) Certo la paleontologia è cambiata e noi abbiamo dei dinosauri un’immagine ben diversa, ma questo è il frutto dei soli ultimi quarant’ anni; fino agli anni Sessanta i libri proponevano ancora le immagini volute da Figuier e Flammarion (o qualcosa di poco più aggiornato che prendeva comunque ispirazione da quelle figure). Alle variazioni iconografiche più consistenti ha contribuito sicuramente il cinema, si pensi a Jurassic Park e a quanto i grandi rettili hanno abbandonato i loro impacciati trascinamenti motori da camaleonti per divenire scattanti come uccelli predatori. Nei libri di Figuier e Flammarion si vedono immagini dove i dinosauri crestati lottano con corna e zanne smisurate sullo sfondo di una natura primordiale che non ha limiti di potenza; le bocche vulcaniche si spalancano più impressionanti di quelle dentate delle creature in primo piano, gli oceani ribollono rendendo più ardua la sopravvivenza ai mostri marini, i cieli lampeggiano. La vegetazione partecipa al gigantismo con palme alte come razzi e felci arrotolate come cupole del Borromini. Tutto è incredibile, smisurato, meraviglioso. Ma chi erano gli artefici di quelle figure?

Le incisioni erano solitamente frutto di più autori, c’era almeno un disegnatore, che eseguiva l’immagine, ed un incisore che materialmente scavava le lastre imprimendovi la figura da stampare sulla pagina. Spesso i due personaggi sparivano sotto l’efficacia di ciò avevano realizzato, nonostante ogni incisione riportasse entrambe le firme. Insomma le illustrazioni avevano un rapporto ancillare col testo ed il culto della personalità non poteva certo far peccare di vanagloria gli illustratori. Fece eccezione Gustave Dorè (italianizzato pure lui in Gustavo), che per la produzione sterminata e per aver avuto l’occasione di illustrare alcune delle opere più celebri delle storia della letteratura e della poesia divenne l’incisore per antonomasia.

Un nome lo abbiamo, dimenticato ai più ma presente nel frontespizio del libro di Figuier, quello di Edouard Riou.

Riou (1833-1900) era un disegnatore, allievo di Daubigny, che acquisì una certa fama quattro anni dopo il libro di Figuier, quando ebbe l’occasione di illustrare il celebre Voyage au centre de la terre  di Verne (Edizione Hetzel, 1867) e successivamente Vingt mille lieues sous les mers, riproponendo i suoi improbabili dinosauri ancora più arrabbiati. Riou viaggiò come inviato per alcune note riviste dell’epoca visitando l’America del sud, l’Egitto e la Russia, osservò attentamente la realtà cogliendone sempre gli aspetti più grandiosi e spettacolari. Lo si può considerare uno dei pionieri dell’immagine fantascientifica, il cinema gli deve moltissimo a partire dai film di George Melies ed un capolavoro steampunk come La diabolica invenzione (1958) di Karel Zeman non si spiegherebbe senza di lui. Più difficile risulta l’identificazione dei collaboratori di Flammarion, (dopo la visione di Avatar ho sfilato gli occhiali per il 3d ho inforcato una lente da orologiaio per cercare in mezzo alla foresta di segni della sgorbia  quei pochi che compongono le firme) in quanto le quattrocento figure – quasi tutte xilografie –  che impreziosiscono il suo libro sono state affidate ad una moltitudine di artisti, alcuni dei quali il nome non lo hanno neanche messo. Lo stile, pur con le inevitabili differenze personali, risulta omogeneamente romantico; erano tutti artisti fortemente animati dalla volontà di stupire ma dominati da una certa ingenuità fanciullesca che automaticamente trasmigrava nell’animo dei lettori del libro, bambini o adulti che fossero. Tra loro si identifica Paul Jonnard (nato prima del 1869 e morto nel 1902), uno degli incisori collaboratori di Doré nonché collaboratore dell’ “Art Journal of America”, e, sorpresa, il nostro connazionale Giuseppe Barberis, xilografo torinese trasferitosi per lavoro in Francia, conosciuto come autore di vedute panoramiche prevalentemente italiane (la serie più nota è “Le cento città d’Italia” edita da Sonzogno sul finire del secolo). Compare poi una serie di artisti di cui identifichiamo i nomi ma le cui notizie biografiche sono praticamente nulle quali Auguste Tilly, P.Selliez, Gustave Levy, Paul Fouché, Jobin, Jacob e Sthéphane Pannemaker ( noto per le figure di un trattato francese sugli usi e costumi dei popoli di tutto il mondo e per la collaborazione a due romanzi di Verne, per i quali incise le illustrazioni del già noto Riou ), Jules Blanadet, Motty, Sablo, Vermorcken, Charles Barbant ( che mise la sua abilità al servizio dei testi di ricostruzione storico-artistica di Viollet-Le-Duc ma anche di classici delle letteratura per ragazzi come L’Île mysterieuse e Michel Strogoff ), Julien-Antoine Peulot. Infine Fernand Besnier, che acquisirà una certa fama qualche anno dopo con scene di battaglia.

Scrive Corrado Augias ne “I segreti di Parigi”, in proposito ad una scultura di Emmanuel Frémiet intitolata “Orangutan che strangola un selvaggio del Borneo” eseguita nel 1896 e posta all’ingresso di una delle più suggestive collezioni di dinosauri europee, il museo di storia naturale di Parigi: “Dalla sua grande composizione scultorea, artisticamente superiore a tutte le altre, si dipana, anche in virtù del luogo in cui è stata collocata, un fitto reticolo di rifermenti che riguardano sia lo straordinario naturalismo della scena raffigurata, sia la particolare concezione di scienza che essa sottende. L’uomo, il “selvaggio”, è già vinto: la posizione contorta del corpo denuncia, prima ancora delle profonde ferite, un’orrenda agonia. Un piccolo orango anticipa, nell’espressione eccitata del museo, lo scempio che di lì a poco verrà fatto del cadavere. Dell’orango assassino colpiscono l’ottusa freddezza dello sguardo, nonché la smisurata lunghezza delle braccia e delle dita che stringono la preda (…) Pochi decenni prima lo scrittore Edgar Allan Poe aveva immaginato una scena analoga nel suo racconto Murders in the Rue Morgue.”

Pur non essendo un rettile il soggetto dell’opera di Fremiet ma un orango (ma al Musée d’Orsay il suo contemporaneo Louis-Ernest Barryas colpisce con una analoga scena dove la lotta è contro un coccodrillo), è evidente la similitudine degli intenti, lo sbigottimento creato dalla coppia arte-scienza nella divulgazione di certi concetti quando escono dalla cerchia ristretta dell’accademia.

Concludo raccontando un curioso episodio mondano, che gli studiosi di paleontologia conoscono, occorso nella Londra vittoriana la sera del 31 dicembre 1853. Lo scultore Benjamin Waterhouse Hawkins organizzò la cena di fine anno nel parco del Crystal Palace, e pensò bene di tenerla dentro alla struttura dell’iguanodonte in ferro e mattoni da lui progettato ma non ancora completato della schiena, allestito per l’occasione con tavolo, sedie e luminarie. L’evento era presieduto da Richard Owen, il paleontologo che sovrintendeva al progetto del parco e, per quanto l’iguanodonte fosse imponente, non poté ospitare più di venti selezionatissimi commensali. Il biglietto di invito aveva la forma dell’ala di uno pterodattilo e venne mandato ai più celebri scienziati dell’epoca.

Il passato remoto del mondo era dunque immaginato e ricostruito sempre con spettacolarità, perfino nelle parole: era stato lo stesso Owen, in una conferenza del 1841, a coniare il termine “dinosauro”, cioè “lucertola terribile”. Perfino sir Arthur Conan Doyle, dopo la celebrità acquisita coi raziocini del suo detective, nel 1912 pubblica serializzato sull’ “Associated Sunday Magazines” il romanzo d’avventura The Lost World, cedendo al fascino irresistibile dei dinosauri; le illustrazioni sono di Joseph Clement Coll che libero da vincoli scientifici ma anatomicamente verosimile si sbizzarrisce con tratto frenetico ed eleganza liberty nella visualizzazione di creature dinamiche e molto aggressive, probabilmente le più belle del tempo.

 

(*) Un precedente ai suddetti libri è Book of the Great Sea Dragons, del geologo Thomas Hawkins, pubblicato  a Londra nel 1940. L’autore, pur corredando il testo con incisioni riproducenti scheletri fossili di ittiosauri e plesiosauri dalla precisione pressoché fotografica, introduceva l’argomento con una immagine fantastica del pittore John Martin che, col suo solito gusto catastrofista, immaginava i rettili marini che ingaggiavano una lotta furibonda stagliati su di un panorama da fine del mondo.

 

Si riportano qui di seguito le caratteristiche dei due libri citati e le loro prime traduzioni italiane:

Louis Figuier, La terre avant le déluge, ouvrage contenant 25 vues ideales de paysages de l’ancien monde dessinées par Riou – 310 autres figure et 7 cartes geologiques coloriérs, Paris, Librairie de Hachette et C.ie,  Boulevar Saint-Germaine 77, 1863.

Luigi Figuier, La terra prima del diluvio, traduzione del Dottor Camillo Marinoni con numerose note, opera illustrata da 25 vedute ideali di paesaggi del mondo antidiluviano disegnate da Riou e da 256 altre figure e 3 carte colorate, Milano, Treves, 1884, pag. 583.  Alcune edizioni successive riportano l’aggiunta della carta geologica d’Europa.

Camille Flammarion, Le Monde avant la création de l’homme, origine du monde, de la vie, dé l’humanité, édition avec 400 gravures sur bois, 8 cartes geologiques et 5 aquerelles, paris, C.Marpon et E.Flammarion, 1886.

Camillo Flammarion, Il Mondo prima della Creazione dell’uomo, traduzione con note del Dott. Diego Sant’Ambrogio, illustrato da oltre 400 figure, Milano, Edoardo Sonzogno editore, via Pasquirolo 14, 1886. Non risultano edite nell’edizione italiana le cinque immagini acquarellate a mano.

I suddetti volumi sono tutti di formato in ottavo; difficile risulta l’identificazione delle copertine editoriali (probabili percalline con immagini impresse a rilievo in nero e oro; probabili anche i tagli tutti dorati) in quanto la maggior parte delle copie ancora reperibili è collazionata da dispense settimanali rilegate con cartonature coeve, con piatti neri o marmorizzati, secondo il gusto dell’epoca.




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