Magnificenza e sfortuna di Berni Wrightson

Unico indizio la Weltanschauung romantica

Wrightson4  di Giorgio Perlini

Da una delle mie apnee nell’oceano web, senza neanche inabissarmi troppo, emergo con soddisfazione con la scoperta che un libro regalatomi nel 1986 dalla ragazza che sarebbe divenuta mia moglie viene valutato oggi fino a cinquecento euro. Trattasi della prima edizione italiana di uno di quei romanzi che forse in pochi hanno letto ma di cui tutti ricordano il titolo, Unico indizio la luna piena. La bellezza di quel regalo risiedeva sì nella prosa piacevolmente scorrevole di Stephen King ma ancora di più nelle immagini romantico-gotiche di un artista da cui ero ammaliato da qualche anno, quando mi era capitato in mano un volume intitolato The Studio in cui era esposta una panoramica dei suoi lavori. Si chiamava Berni Wrightson ed era allora una giovane star dell’horror, già amorevolmente formatasi studiando molti maestri, tra i quali erano ben riconoscibili Frank Frazetta e Graham Ingels; in verità quel ragazzo seguiva sopra tutto la lezione di Franklin Booth, un artista che aveva fatto la storia dell’illustrazione americana e poi, come spesso succede, era stato dimenticato (*). L’incontro con King appare col senno di poi inevitabile, eppure la genesi del libro in questione è sofferta, nata dalla proposta nel 1979 da parte di un fan di King della realizzazione di un calendario, accettata dallo scrittore in quanto ubriaco (per ammissione dello stesso), poi trasformata in romanzo ma con stesura dilatata nel tempo e singhiozzante. Wrightson era già alle prese con altre opere, tra cui le tavole complicatissime per il Frankenstein di Mary Shelley, che per quanto ancora oggi poco note, sono sicuro che in futuro verranno considerate un capolavoro assoluto dell’illustrazione. L’artista vi lavorò dal 1975 al 1983, realizzando circa 65 disegni straordinari, 45 dei quali inseriti nell’edizione ufficiale, e gli altri seminati tra portfoli, tirature limitate e pubblicazioni varie, tanto per far impazzire i collezionisti. La tecnica è semplice inchiostro di china ma la stesura dello stesso viene effettuata lasciando sottilissimi spazi bianchi tra i segni simulando così le incisioni ottocentesche. Anche la composizione è classica, basti confrontare le prime tavole di questo Frankenstein con quelle dell’Ancient Mariner di Coleridge illustrate da Dorè. L’editore Marvel, forse perché abituato a pubblicazioni per ragazzi, dunque a prezzi facilmente abbordabili, optò per una poco curata edizione in brossura che non rende giustizia alla qualità superba dei disegni. A distanza di ben 27 anni (nel 2010) è giunta un’edizione anche in Italiano, e stavolta ben fatta, pagine in carta pesante, rilegatura in tela nera con impressioni d’argento, nastro segnalibro inserito nella rilegatura; ma in copertina campeggia un bel ritratto del mostro, reso orribile non in quanto mostro ma perché erroneamente stampato a bassa definizione, con l’intollerabile sgranatura dei pixel spiattellata davanti agli occhi del lettore. Inoltre tale immagine è ingrigita, priva di contrasto, monca di quel bel nero lucido che caratterizza le tavole interne.

Riprenderemo più tardi a parlare di copertine. Torniamo ora al nostro libro. Nonostante gli impegni suddetti Unico indizio la luna piena  vede la luce, come Frankenstein, nel 1983, col più didascalico titolo Cycle of werewolf. E’ diviso in dodici capitoli che corrispondono alle fasi lunari (l’idea originaria del calendario) e Wrightson esegue tre illustrazioni per ogni mese: una tavola ad inchiostro nero in apertura a doppia pagina (nell’edizione italiana si notano in alto a destra le cancellature maldestre del nome del mese corrispondente scritto in inglese), una a colori nel mezzo del capitolo ed un finalino ancora in bianco e nero. Le date riportate vanno dal 1981 al 1983 e lo stile è quello dei disegni del Frankenstein, cambia solo l’ambientazione. L’artista esegue dei panorami splendidi mostrando l’America rurale dalle nevi di Gennaio fino a quelle di Dicembre passando per profumi primaverili, cieli stellati estivi e piogge autunnali, ed attraversando foreste di conifere, sentieri di campagna e paludi immobili. In queste tavole poco narrative che suggeriscono il climax del racconto Wrightson dà il massimo. Un’intera grammatica del segno viene redatta nel modo in cui il nero, ciò che l’artista porta, si relaziona col bianco, ciò che è precedente all’intervento artistico e non è necessariamente un vuoto. Wrightson mostra come si possa disegnare in orizzontale o in verticale per l’intera tavola, rendendo gli effetti dell’impalpabilità della nebbia, della semitrasparenza della pioggia, del movimento leggero delle brezze, dello scintillio del plenilunio. Non basta la perizia tecnica per raggiungere un risultato come questo, è necessaria un’enorme sensibilità; animato dal sentimento romantico che esaltò lo spirito della Natura nelle discipline con i tedeschi Shelling e Friedrich, ma anche gli inglesi Coleridge e Constable e gli americani come Thoreau. Risultano deboli, al confronto, alcune delle immagini a colori dove era obbligo mostrare i personaggi, e dove sembra di sentire una certa costrizione dell’artista all’acidità delle luci al neon, ai gialli della fòrmica dei banconi da bar, ai fucsia delle carrozzerie dei tir, alle policromie d’arlecchino delle vetrate delle chiese di provincia. E’ evidente che ancora calato in Frankenstein Wrightson era a proprio agio più con l’horror suggerito che con quello mostrato direttamente. Si era creato però la fama di disegnatore splatter, fama che ancora oggi mantiene, e proprio questo bramavano i suoi ammiratori e quelli di King. Ma ci sono sfumature da cogliere: singolare l’idea della tavola con la bella e la bestia, dove la bella è tale solo nel ricordo di se stessa, ma conserva nella posa e nelle mani movenze hollywoodiane; interessante l’invenzione del ritratto piratesco del reverendo Lester Lowe che cita il dipinto American Gothic di Grant Wood trasportato in contesto surreal-pop dall’inconfondibile silhouette della maschera di Joda di Guerre Stellari e lo scheletro penzolante dalla porta per la festa di Halloween. Bellissima la tavola con le carcasse dei maiali lucidate dalla pioggia in primo piano e gli uomini dietro, pensierosi sotto un cielo grigio che non promette niente di buono. Insomma l’artista fa di tutto per cercare l’originalità anche dove lo si vorrebbe solo macabro. Inoltre l’horror di Wrightson ha il merito d’aver colto la poesia struggente dello scorrere kinghiano del tempo, del ricordo di vacanze passate con quel coraggio che fa sentire eroi i ragazzi, come nel racconto The body, trasposto nel celebre e ben riuscito film Stand by me. L’eroe di Unico Indizio è il giovane Marty, costretto su di una sedia a rotelle; di lui l’artista, cogliendo una certa ritrosia adolescenziale, non mostra mai il viso pieno, come invece fa col cattivo sia in forma lupesca che umana, suggerendo così l’arroganza di chi vuol rubare la scena al protagonista. Il trascorrere del tempo è evidente in ognuna delle silenziose tavole panoramiche e raggiunge l’apice con quella malinconica di Ottobre, in cui uno scheletro d’animale di cui nessuno si è ancora accorto poiché nascosto dalle foglie cadenti, viene rivelato dallo spazzare del vento. Nel testo non si fa menzione di quello scheletro; l’episodio dei suini dilaniati è nel capitolo precedente ed è avvenuto un mese prima, inoltre lo scheletro sembra quello d’un cane. Ecco allora che Wrightson aggiunge elementi forti al racconto e King lo lascia libero perché si fida, ed evidentemente trova il tutto sintonico con il suo spirito. Quello scheletro è l’immagine della ciclicità delle cose, della vita che è andata a nutrire l’albero, il cui sfogliarsi ha a sua volta assicurato dignitosa copertura alla morte.

L’edizione originale americana del libro ha una copertina con disegno di Wrightson estrapolato dalle immagini interne, la seguente in sofcover riporta copertina anonima e decisamente brutta. Esiste anche una edizione in 250 copie firmate da entrambi gli autori, con legatura in pelle con tanto di impressione in oro di una testa di lupo, ma lascio il prezzo alla vostra immaginazione (e comunque anche in questo caso si tratta di speculazione commerciale, sebbene invertita rispetto a quella della Marvel). Quando il libro viene edito in Italia sulla scia del film, di nuovo il lavoro di Wrightson è corrotto da una sovracopertina fuorviante che tace del tutto sul nome dell’illustratore e mostra come immagine la locandina del film, questa sì, firmata (E. Sciotti). Ristampato dal Club degli Editori ancora con sovraccoperta non opera dell’artista, poi da Tea Due ed infine da Salani con immagini ricavate da due differenti disegni interni, sembra che i romanzi illustrati da Berni Wrightson siano destinati a non raggiungere mai l’edizione perfetta. Inoltre il valore di cui si faceva menzione in apertura non è dovuto alle illustrazioni ma al semplice fatto che trattasi della prima edizione di un libro scritto da colui che è considerato il più grande scrittore horror d’America.

Eppure se non fosse stato per quelle meravigliose figure alla mia ragazza non sarebbe venuto in mente di mente di regalarmelo; e mi piacerebbe che Wrightson lo sapesse.

 

(*) Come omaggio al grande artista americano in una delle tombe coperte dalla neve nella doppia illustrazione di pagina 116-117 di Unico indizio la luna piena  si scorge il suo nome incompleto.

Unico indizio la luna piena di Stephen King, illustrazioni di Berni Wrightson, Longanesi, 1986, cartonato con sovraccoperta, formato in quarto piccolo, 143 pagine numerate, illustrato in bianco e nero e a colori.

Per quanto riguarda il capolavoro di Wrightson in prima edizione assoluta e successivamente in prima, ed unica finora, edizione italiana:

Frankenstein, di Mary Wollstonecraft Shelley, Mavel Comics Group, 1983, brossurato in quarto, illustrato in bianco e nero.

Frankenstein, idem, Planeta – De Agostini, 2010

Per chi volesse poi completare la raccolta delle immagini senza dover ricorrere alle edizioni limitate e firmate si segnala la seguente pubblicazione:

The lost Frankenstein pages, Berni Wrigthson, Apple Press, 1993, brossura in quarto.

 

Nota: questo articolo è stato pubblicato in data 16 Agosto 2015. Ieri, 30 Gennaio 2017, ho appreso dalla rete che si stanno raccogliendo le prenotazioni per la nuova edizione americana dovuta alla Nakatomi Incorporated di Cycle of Werewolf. L’opera è realizzata con molte varianti, la più sontuosa delle quali ( 50 pezzi ) fornita di un cofanetto in legno con incisa la carcassa già citata nell’articolo ma disegnata mentre corre. Tale scrigno contiene, oltre alle tavole in veste calendario, non solo un bozzetto originale risalente all’epoca della concezione dell’opera ma anche un proiettile d’argento – a salve – che riporta inciso a punzone il monogramma “W” con cui Wrightson ha firmato i disegni. Sì, insomma, mi lamentavo che non esistesse ancora un’edizione consona alla bellezza del lavoro, e qualcuno ha superato ogni mia aspettativa ( ed anche le mie misere possibilità economiche )…

 




Commenti

  1. 01. DIEGO BOSCO

    CIAO GIORGIO!!
    HO DATO UN OCCHIATA ALL’ARTICOLO, PERCHè COME BEN RICORDO E RICORDERAI, QUESTO ARTISTA, TRA TUTTI, NON è MAI STATO IL MIO PREFERITO. FORSE ANCHE A CAUSA DI UN DISEGNO FIN TROPPO PERFETTO E BAROCCO, IN GRADO DI DIVENIRE UN Pò FREDDO E PRIVO DI QUEI MOTI EMOTIVI CHE TRASPARIVANO INVECE DAGLI ALTRI DISEGNATORI EC. LE SUE TAVOLE CHE PREFERISCONO SONO, SE NON RICORDO MALE, ALCUNE ILLUSTRAZIONI, ANCHE A COLORI, SULLA FANZINE CREEPY.
    SAREBBE INTERESSANTE FARE UNA RICERCA SU “GHASTLY”, CHE SO ESSERE ANCHE TRA I TUOI PREFERITI… SOPRA OGNI ALTRA COSA, MI PIACEREBBE SCOPRIRE IL PERCHè HA RINNEGATO TUTTO IL SUO LAVORO ALLA CORTE DI WILLIAM GAINS… è DI FATTO MOLTO STRANO, VISTO IL SUCCESSO RICEVUTO PER TALE LAVORO.
    INOLTRE IL SUO SEGNO COSì PARTICOLARE E ANGOSCIANTE INCURIOSISCE RIGUARDO UN APPROFONDIMENTO DELLA SUA PERSONALITà NON ARTISTICA MA PRIVATA.
    ALTRA CURIOSITà CHE HO DA UN Pò è SE AL FELDSTEIN HA MAI SCRITTO UN LIBRO…
    POI MI DIRAI!
    IO HO PROVATO A GUARDARE SU WIKIPEDIA MA SI TROVANO NOTIZIE SOLO IN INGLESE E PIUTTOSTO SCHEMATICHE, PIù CHE ALTRO SULLE LORO CARRIERE.
    PS. SEI PIù RIUSCITO A SCOPRIRE CHI è IL MITICO DISEGNATORE DEGLI STICKER ANNI ’90 “RATTLER I MOSTRACCI”?
    SE LO SCOPRI MI FARESTI UN GRAN REGALO!
    HO PROVATO A GUARDARE UN Pò SU INTERNET, MA NIENTE…
    GRAZIE GIORGIO!
    A PRESTO!

  2. 02. Giorgio Perlini

    Ciao Diego.
    Gli interrogativi che poni sono molti e non facili da trasformare in risposte veritiere. Ingels e Feldstein potrebbero trovare in futuro posto nel sito, come successo per il grande Jack Davis che non mi stancherò mai di lodare. Ti farò sapere se scopro notizie che possono soddisfare le tue curiosità. Per quanto riguarda le vecchie serie di figurine e/o tatuaggi dedicati ai mostri risalire agli autori è difficile. Con sicurezza so solo che la bellissima “Grusel Parade” della fine degli anni Sessanta (o forse inizio Settanta, sul momento non saprei) era disegnata da Prosdocimi. Io sono in possesso di vecchi e notevoli tatuaggi horror venduti in italia – che prima o poi riuscirò a mostrare pubblicamente – probabilmente eseguiti da disegnatori americani che non sono riuscito ad identificare. Davis ne fece una serie ma non è quella in questione. Il problema del riconoscimento degli autori delle cose commerciali è inesauribile ma altrettanto stimolante è la ricerca. Questo sito è in piedi anche per questi scambi di informazioni!
    A presto e grazie per l’interesse mostrato.


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