The Sensitive Plant

Smarriti nei giardini di Charles Robinson

Robinsoncopertinadi Giorgio Perlini

Gli Inglesi sostengono che nella loro terra si trovino i giardini più belli del mondo. Ed è vero, complice il fatto che chi cura quei giardini raramente ha bisogno di annaffiarli. Certo il lavoro che c’è dietro è comunque intenso ma la presenza costante di quello che noi Italiani consideriamo maltempo facilita parecchio i compiti dei giardinieri anglosassoni. Eppure sembra che il poeta Percy Bysshe Shelley, inglesissimo, concepì il poemetto The Sensitive Plant in Italia, probabilmente durante il suo soggiorno a Pisa, nella primavera del 1820. Nella prefazione il critico letterario Edmund Gosse avanza, suppongo per spirito patriottico, l’ipotesi dell’improbabilità che la “mimosa pudica” o anche “sensitiva”(“sensitive plant”, appunto) possa crescere in un giardino italiano. Insomma, l’ispirazione di Shelley deriverebbe dall’osservazione della flora di altri lidi ed il poeta confonderebbe elementi di botanica, materia nella quale risulta fosse peraltro molto ferrato. Ma all’inizio degli anni Settanta (del Novecento), nel giardino di Villa Bonaccorsi a Porto Potenza Picena (in provincia di Macerata), in mezzo a varie attrazioni settecentesche quali nani di pietra, statue sonore, scatole lignee rivelanti improvvise apparizioni demoniache – alcune delle quali tuttora visibili -, un giardiniere mostrò al sottoscritto allora bambino un esemplare di mimosa pudica. Restai così impressionato da quell’incontro che anni dopo mi convinsi che una simile pianta non poteva esistere e che probabilmente il ricordo di quella circostanza era stato trasfigurato dalla mia fantasia fanciullesca. Finché qualche anno fa, rovistando tra i ripiani di una libreria di Salisbury, non mi è capitata in mano una copia di questo libro, pungolo di una reminiscenza mai sopita del tutto. Spinto a documentarmi ho trovato che la “sensitive plant” è esattamente quella pianta che io mi ricordavo. Trattasi di una specie particolare di sempreverde che reagisce allo sfioramento delle foglie richiudendosi immediatamente su se stessa per poi tornare a schiudersi nel giro di pochi minuti. Una pianta con cui si ha l’impressione di poter stabilire un contatto diretto, quel contatto faticosamente ricercato tra esseri umani e creature del mondo vegetale. L’aggettivo “sensitiva” poi conferisce una connotazione quasi psichica alla pianta, aumentandone il mistero.

Shelley descrive un lussureggiante giardino cromatico, dove tutti i fiori sembrano sbocciare contemporaneamente, suggerendo aromi come in una sinfonia olfattiva. Tra questi si nasconde la timida sensitiva, poco colorata ed altrettanto poco profumata. Appare poi la figura larvale di una fanciulla giardiniera che cura ogni germoglio come farebbe una madre con i figli ma appartiene alla stessa fragile natura delle piante e con l’arrivo del freddo muore. Il poema diventa un’ode al decadimento, immagini di morte si susseguono a ribaltare tutta quella insostenibile bellezza raccontata all’inizio. La conclusione però suggerisce che in realtà non tutto è destinato a scomparire, bensì solo l’uomo con i suoi sensi; l’amore e la bellezza, al di là del terreno, restano in eterno.

Charles Robinson non solo era nipote e figlio di illustratori ma condivideva la passione con suo fratello maggiore (di un anno) Thomas Heath, e quello minore (di due anni), William Heath. Credo si tratti della più importante famiglia di illustratori in assoluto, insieme agli americani Wyeth.

Charles si era già cimentato con il tema del giardino nel 1907, quando aveva eseguito le illustrazioni in bianco e nero per Child’s Garden of Verses, raccolta di versi di Robert Louis Stevenson; dopo The Sensitive Plant vi torna per tre volte con Secret Garden, 1911, di Frances Hodgson Burnett, Four Gardens, 1912, di Emily Handasyde, e Our Sentimental Garden, 1914, di Agnes Egerton Castle.

Tutta la produzione di Robinson ruota intorno al tema della malinconia. Non per niente i suoi giardini sono sconfinati e spesso in decadenza. Nascono in verità come giardini all’italiana, ordinati con maestria secondo geometrie umane; ma il tempo finisce per dar ragione alla Natura, le simmetrie si rompono, sboccia una nuova bellezza portata dal disordine in cui i rampicanti strozzano le architetture riducendole a ruderi di un immaginifico passato glorioso. Diventano giardini labirinto all’interno dei quali si può perdersi, o imbattersi in simulacri di marmo forse un tempo viventi.

Tra Shelley e Robinson c’è una distanza temporale di quasi ottant’anni; l’illustratore cerca la mediazione nella pittura preraffaellita, nello specifico nelle donne-muse di Edward Burne Jones e Dante Gabriel Rossetti, privandole però di quella certa lieve androginia che pure le caratterizzava. Si noti quanto la giardiniera di Robinson sia esplicitamente modellata sulla Persefone di Rossetti. Ma le novità estetiche di queste immagini nascono da innovazioni tecniche. Robinson non si ferma alle atmosfere nebbiose caratteristiche dell’acquarello e realizza illustrazioni pastose, usando la tempera e perfino l’olio su tela, come rivela la trama spessa della superficie su cui è dipinta la citata giardiniera.

Poi, al centro di masse informi e ruvide, l’artista lascia spazi per delineare con tocchi leggeri e trasparenti personaggi come fossero figure angeliche. Dunque non cerca solo la definizione dell’indefinito, la vaghezza dell’aria, bensì trova il sistema per rendere l’effetto materico dell’intrico del fogliame. Questa ricerca lo rende diverso, e più moderno, dagli altri illustratori dell’epoca come Arthur Rackham ed Edmand Dulac. Gli accesi impasti cromatici farebbero pensare ad uno studio effettuato sui dipinti di Monet per la riuscita quasi informale, e di Redon per la connotazione onirica (straordinaria in questo senso l’illustrazione con la processione degli incappucciati). Complice per la riuscita è la raffinata tecnica con la quale all’epoca si stampavano le tavole fuori testo, in inglese denominate “tipped in” (*). Certo Robinson si è ben calato nel poema e ha reso visibile, e anche palpabile, ciò che Shelley cercava di evocare. Non si potevano illustrare in modo didascalico le quartine baciate, l’unica strada possibile era seguire lo spirito melanconico dell’opera, partendo da un Eden per giungere ad uno struggente disfacimento, inevitabile, sia il giardino italiano o inglese. Straordinaria l’idea di non mostrare in modo diretto la pianta protagonista; c’è sì qualche figura femminile che potrebbe essere la trasposizione del vegetale ma si procede sempre per suggestioni non per corrispondenze matematiche.

Le prime illustrazioni del poema propendono per la derivazione italiana dell’opera: Robinson richiama con l’immagine d’apertura la ritrattistica di Lippi e Botticelli ed il successivo scorcio sulla chiesa al di là del giardino rende esplicita la collocazione peninsulare. Ma quando il poema incupisce il giardino diventa di tradizione anglosassone, poi romanticamente devastato.

A testimoniare quanto un autore apparentemente poco noto come Robinson sia apprezzato dagli illustratori contemporanei cito due opere recenti. Una è costituita dalla serie delle Cronache di Spiderwick, scritta da Holly Black ed illustrata da Tony DiTerlizzi; l’opera è un continuo omaggio agli illustratori di inizio secolo e nelle pagine introduttive dei volumetti compare la mappa del paese di Spiderwick in mezzo a cui serpeggia regale il “torrente Robinson”. L’altra è data dal bellissimo END, fumetto di Barbara Canepa ed Anna Merli. La autrici, con sensibilità spiccatamente femminile, ambientano una storia di fantasmi in una dimora circondata da un giardino che pur essendo sfondo diventa protagonista e deve molto alla poetica struggente dell’illustratore inglese.

 

Percy Bysshe Shelley, The Sensitive Plant, London: William Heinemann, Philadelphia: J.B. Lippincott Co., non datato ma 1911, formato in 4°, copertina tutta tela verde con impressioni in oro. Illustrato da Charles Robinson con 18 immagini a colori protette da veline mute più molti altri disegni, uno per ogni pagina, stampati a mezzatinta con l’aggiunta di un solo colore.

Esiste anche un’edizione di lusso contemporanea alla prima (stesso formato ed identico numero di tavole) rilegata in pergamena bianca con fregi dorati.

 

p.s.: il libro trovato a Salisbury, dopo abborracciate trattative gestuali (dato il mio inglese a dir poco terrificante) me lo sono portato via con 40 Sterline. Non ne conoscevo il valore reale. Da ricerche effettuate una volta tornato in Italia ho scoperto che le poche librerie che ne sono in possesso lo propongono sempre al di sopra dei 120 dollari, 500 se in ottime condizioni; si raggiunge un massimo di 1000 quando munito di sovraccoperta e cofanetto originale in cartone.

 

(*) vedi articolo relativo all’Ancient Mariner illustrato da Willy Pogany, presente in questa stessa sezione del sito.




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