Richard Corben e l’ironico esibizionismo del body building

Nudi, crudi e molto tosti

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di Giorgio Perlini

Dopo la comparsa di Frazetta sulla scena dell’illustrazione ( vedi l’articolo sul precedente numero di AAA ) bisognava fare come nella pittura del Cinquecento dopo l’arrivo di Raffaello: per poter continuare senza risultare sterili nella creazione e sconfitti nel confronto era necessario cambiare alcuni parametri. Ed è quello fece un irriverente ragazzone americano di campagna di nome Richard Corben.

Corben si forma col fumetto underground degli anni Sessanta, dove dominano i temi ancora tabù del sesso e della violenza e dove la narrazione e lo stile si vantano di risultare non “politically correct”. In questo contesto Corben si inventa storie fantasy con eroi ridicoli, disegnati con tecnica straordinaria e stile grottesco, sempre nudi e con i muscoli enfiati anche in posizione rilassata, che camminano su lande deserte come se sfilassero al Madison Square Garden per il premio di Mister Universo. Hanno organi sessuali grandi come avambracci, impiccianti quando si combatte, facili da centrare con un calcio senza prendere la mira. Sono glabri e anche calvi, il pelo, come le squame, è animalesco e prerogativa dei mostri, anzi, costituisce proprio uno degli elementi di distinzione tra non umani e umani. E se l’eroe è un’eroina allora sono i seni a pesare come cocomeri (perfino nella scheletrica Lady Madeline Usher, vedi la copertina per l’antologia di Poe a fumetti mostrata nella figura), le natiche sono strette ma toste e le gambe un po’ corte, così i seni risaltano ancora di più. Anche per le donne di pelo non se ne parla, neanche dove sarebbe canonico; si deve proprio vedere tutto per bene, non sia mai che qualcuno possa pensare al vello come ad un intervento di subdola autocensura o mancanza di ardimento spacciata per realismo. A volte indossano un mantello con cappuccio, magari non si vede il volto ma i seni sbucano comunque. Si picchiano gli eroi e le eroine, nel corpo a corpo e con armi ancestrali, pietre scheggiate, lame d’ossidiana, clave, e i loro visi si stravolgono in smorfie di dolore parossistico quanto le contorsioni dei loro corpi durante le lotta. Sono gli archetipi caricaturali del maschio e della femmina.

Solo così si poteva proseguire sulla strada di Frazetta. Cambiando la serietà dello stile del maestro in ironia e voglia di prendersi in giro da soli ( perché fantasy, horror e fantascienza, diciamolo, come evasione vanno benissimo, ma prenderli troppo sul serio non è cosa sana ) senza rinunciare al realismo nell’attenzione al chiaroscuro e nella definizione dei volumi. Ed il realismo di Corben è addirittura un iperrealismo, con colori brillantissimi. Posto che la sua bravura sia innegabile, c’è più di un segreto nascosto in una tecnica messa a punto con anni di sperimentazione: per quanto riguarda gli sfondi, specie quelli lovecraftiani ( il nome di Howard Phillips Lovecraft sbuca sempre in mezzo a quelli dei miei amati illustratori ), sono ottenuti stendendo colori di natura differente, come oli ed acrilici, oppure acrilici e diluenti, su di una pellicola di frisket, un materiale non assorbente che viene usato solitamente dagli aerografisti per mascherare le zone che non devono essere dipinte. L’uso improprio di questa pellicola diventa dunque altamente creativo quando Corben vi fa scivolare sopra colori che avendo medium differenti non possono fondersi e danno vita a strane configurazioni cromatico-materiche, che evocano tentacolari forme di vita aliene, o fondali oceanici abitati da creature misteriose. Finché i colori non sono asciutti la superficie così trattata viene inclinata e fatta ruotare tra le mani dell’artista, che riesce ad intervenire parzialmente su qualcosa generato principalmente dal caso. Una volta asciutto il fondale si procede a posizionare su di esso i personaggi – dipinti in separata sede – con operazione di ritaglio e successivo incollaggio. Questi personaggi, così veri, sono disegnati copiando dalla realtà e spesso copiando da fotografie scattate dallo stesso Corben. In particolare si tratta di fotografie di sculture che l’artista realizza proprio come modelli per le sue figure; corpi in pose particolari e soprattutto teste di medie dimensioni con gli occhi mobili, così da poterne studiare l’illuminazione più suggestiva ed osservare i volumi ogni volta si dipinga un primo piano, con effetto, appunto, particolarmente tridimensionale. C’è poi un’altra tecnica molto complessa con cui vengono realizzate le immagini quando al posto dei pennelli si usa l’aerografo; il disegno a matita viene ripassato in nero pieno su un foglio di acetato e con i pennarelli grigi vengono fatti i chiaroscuri. Lo stesso disegno viene ricalcato su altri fogli trasparenti messi a registro, sui quali Corben stende singolarmente ad aerografo ogni colore di stampa (giallo, magenta e ciano). Non solo, ma per ogni colore vengono realizzate quattro stesure da sovrapporre, diminuendo sempre più l’intensità della pittura e riducendo le aree da coprire. A questo punto entra in gioco una reprocamera, strumento oggi obsoleto, usato all’epoca (gli anni Settanta e Ottanta) in tipografia per scomporre le immagini nelle quattro pellicole con i colori base, con cui Corben riunisce tutti i passaggi per arrivare all’immagine nella sua completezza. Con questo processo non automatico, l’artista esercita un controllo diretto su tutto il lavoro. Certo i tempi sono lunghi, si arriva ad avere tredici lucidi (quattro per ognuno dei tre colori principali più uno per il nero) ma il risultato è forte e personalissimo. Inoltre trasporta Corben dal fumetto all’illustrazione, passaggio a cui vengono chiamati i fumettisti più bravi, quelli appunto le cui immagini, per tecnica o per stile, colpiscono maggiormente i lettori.

Den, una delle prime opere con la sperimentazione di tutte queste tecniche è sicuramente il capolavoro insuperato che lo stesso Corben ha poi cercato di raggiungere con risultati  rimasti su livelli inferiori, forse perché la prassi sopra descritta, troppo laboriosa, è stata resa più sbrigativa dati gli impegni crescenti dell’artista. Il disegno delle opere successive, benché maturo, risulta più piatto, le sfumature pittoriche che formavano i volumi si trasformano in tratteggi decorativi, e l’impatto cromatico shockante che caratterizzava il fumetto non è più presente. In Italia Den è apparso prima a puntate nel 1976 su quella rivista straordinaria che fu Alter Linus e poi, qualche anno dopo, raccolto in volume in un’edizione cartonata di stampa non perfetta ma comunque dignitosa. Nelle prime quindici pagine della storia il disegno è ancora un po’ espressionista, ma dal secondo episodio in poi si procede con un livello di precisione esemplare. Il racconto è quello di uno studente magrolino e occhialuto, sicuramente un secchione, che trova il diario di suo zio, dove viene descritta la modalità di costruzione di una macchina in grado di aprire un varco dimensionale. Così David Ellis Norman (Den nell’altra dimensione) viene inghiottito dall’apparecchio e catapultato in un mondo dove si ritrova dentro ad un corpo da supereroe per affrontare orrori e crudeltà, eserciti di creature selvagge e regine sessualmente affamate.

In Den c’è tutto Corben con i suoi mondi alternativi dove si praticano culti arcani che mirano al risveglio di entità informi attraverso rituali di accoppiamento primordiale. Gli eroi sono tanto statuari da risultare goffi per contrappasso, i mostri sono tanto brutti quanto ridicoli, le mani e le zampacce dei personaggi maschili affondano concretamente, come fossero di granito, nelle curve carnose delle figure femminili e sui nasi dei nemici, come fossero di plastilina. E la fantasia corre inseguita dalla risata.

In Italia sono apparsi quasi tutti i fumetti a colori di Corben ( Den, Den 2, Mondo mutante, Figli di un mondo mutante, Le mille e una notte, Bloodstar, Jeremy Brood ), molte storie brevi in bianco e nero dell’editore Nuova Frontiera, e recentemente pubblicazioni dove il maestro ha disegnato racconti tratti da Poe, Lovecraft e Bradbury. Dovendo scegliere in un panorama così vasto, si consigliano i seguenti libri:

Richard Corben, Den – viaggio nel paese di Giammai, Milano Libri Edizioni, 1979, cartonato, in quarto.

Richard Corben e Jim Strnad, Le mille e una notte, Edizioni Nuova Frontiera, 1981, volume n. 2 (doppio) della Collana Umanoidi, brossurato, in quarto.

Richard Corben, Den 2, Milano Libri Edizioni, 1983, cartonato, in quarto.

Chi è interessato a leggere le dichiarazioni di poetica rilasciate dall’artista ed anche gli autorevoli giudizi espressi su di lui da altri illustratori può consultare la monografia:

Fershid Bharucha, Richard Corben – Flights into fantasy, Thunb Tack Book, 1981, cartonato, in quarto.

 

Biografia:

Richard Corben nasce l’1 Ottobre del 1940 in una tenuta agricola di Anderson nel Missouri. Dopo pochi anni si trasferisce a Sunflower, nel Kansas, dove frequenta la scuola elementare e si appassiona ai fumetti di Superman. La voglia di disegnare lo spinge ad iscriversi all’ Istituto d’Arte di Kansas City dove si diploma nel 1965. Inizia così a pubblicare storie a fumetti underground per alcune fanzines facendosi notare per la plasticità dei suoi personaggi. Nel frattempo realizza, lavorando di notte, Neverwhere, un cartone animato sperimentale che riceve un importante premio culturale in Giappone. Nel 1970 arriva alla collaborazione con le celebri Creepy, Eerie e Vampirella, proprio come Frazetta, uno dei maestri da cui a preso ispirazione. Due anni dopo appare Den, il suo lavoro più esemplare, che riprende la storia del cortometraggio Neverwhere, e nel 1975 le opere di Corben escono dai confini nazionali: Moebius, Druillet e Dionnet fondano in Francia Metal Hurlant, rivista che cambia definitivamente il concetto stesso di fumetto e sdogana gli autori dal limbo della serie B, dimostrando come tale attività possa essere veicolo di reale creazione artistica. Corben viene invitato a disegnare per il periodico mensile, incarico che ricopre con onore nonostante l’ardua impresa di confrontarsi con alcuni dei più grandi disegnatori francesi del ventesimo secolo. Nel 1981 partecipa alla realizzazione del lungometraggio a cartoni animati Heavy Metal (che riprende le tematiche forti dell’omonima rivista), antologia di storie fanta-horror ( collegate da un misterioso oggetto chiamato “locnar” ) in mezzo alle quali ritorna il suo Den. Tra gli anni Ottanta e Novanta crescono le richieste di sui lavori per copertine di album musicali (famosa quella per Bat out of Hell dei Meat Loaf ), manifesti cinematografici (Phantom of the Paradise di Brian De Palma ) e riviste di tutti i generi; Corben fa ormai parte dell’olimpo dei grandi artisti ma ogni volta che se ne presenta l’occasione ritorna al fumetto, sua passione iniziale mai sopita.

 

Apparso su AEROART ACTION n.4 del 2010




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